Il 25 marzo ricorreva il 60mo anniversario dei trattati di Roma che hanno creato la Comunità Economica Europea. Voluta, amata, contestata, tormentata, l’Unione Europea è stata la casa in cui abbiamo vissuto tanti anni insieme. Ora, come nelle migliori famiglie moderne, qualche figlio che è cresciuto e ha studiato a carico della famiglia minaccia di sbattere la porta, qualche padre in crisi di mezza età chiede il divorzio, qualche matrona pretende di mantenere anche nella crisi gli stessi privilegi che l’hanno ben pasciuta con i sacrifici di tutti. Famiglia sgangherata l’Europa, ma pur sempre famiglia. E io la amo e la sento la mia patria, perchè in questi 60 anni ha assicurato pace, democrazia, valori di umanità che difficilmente si riscontrano altrove. A volte quando viaggio in qualche altro Paese europeo noto le differenze con l’Italia, ma mi accorgo dell’intrinseca unità culturale d’Europa quando viaggio negli altri continenti, e colgo un abisso di differenze nel modo di ragionare e negli stessi valori fondanti, anche (e soprattutto oggi) con gli Stati Uniti, che ho difficoltà ad accomunare nello stesso concetto di Occidente. Ma oggi non so se festeggiare: la nostra Europa merita di più che un mercato fondato su maldestri equiibri tra egoismi economici nazionali dei paesi più forti e sfruttamento di sovvenzioni da parte dei paesi più poveri che una volta cresciuti fanno la voce grossa con i più deboli; si merita un’autentica politica estera comune e autonoma, si merita un modello di economia realmente solidale all’interno e all’esterno, si merita di essere guidata dai valori della filosofia classica che mettono al centro l’uomo. E così ho pensato che fosse bello e giusto andare a festeggiare la mia Europa ad Atene, dove in fondo ebbe inizio tutto quanto, tanto tanto tempo fa’.
Quei valori che uniscono l’Europa sono i valori della filosofia greca, il senso del valore dell’uomo, il relativismo della verità e quindi del rispetto delle scelte degli altri, il senso della comunità, della partecipazione, e della politica come ricerca del bene comune. E’ solo un week-end corto, da sabato mattina a domenica sera, una boccata d’aria tra I tanti impegni quotidiani, ma è priprio ciò che mi serve.
Arriviamo ad Atene in una bella giornata calda, quel caldo che accoglie. Mi dico che è stata la scelta giusta. Troviamo la città tutta in festa, con le strade piene di gente allegra, capannelli di chiacchiericcio, bambini con le bandierine greche. Per un momento penso che siano festeggiamenti per la comunità europea, ma non mi torna molto il conto: non è passato tanto dallo scatto di orgoglio che ha fatto gridare alla piazza ateniese “Leonidaaaa” alla volta di Tsipras che incitava il piccolo stato greco a resistere contro i diktat tedeschi della politica del rigore. La ragione allora stava come spesso un po’ di qua e un po’ di là, perche’ l’Europa è soffocata da eccessive politiche di rigore che avvantaggiano solo la Germania, ma insomma, in Grecia si andava in pensione vergognosamente presto e tutt’oggi ho notato che i negozi non turistici chiudono quotidianamente alle 3 di pomeriggio. Comunque oggi in Grecia si festeggiano non i trattati di Roma ma l’equivalente del nostro 25 aprile e l’atmosfera è di grande partecipazione. Questa è un cosa che mi piace tantissimo di Atene: è rimasto lo spirito dell’agorá, il desiderio di incontrarsi per strada per commentare le notizie di attualita’, di partecipare alle vicende politiche con passione.
Mi dirigo subito all’ Acropoli, alta sulla città quasi ad avvolgerla ancora oggi di sacralità. Lungo il viale pedonale che conduce all’entrata dell’acropoli vengo distratta dall’allegria di burittinai, equilibristi, pittori , suonatori, venditori di ciambelle fritte e di piccole bustine di carta da 1 euro con diversi tipi di bruscolini, noccioline, ottimi pistacchi greci, e via dicendo. Ma quando arrivo alle pendici della rocca mi commuovo a pensare a quanta grandezza di uomini e idee è passata da qui. A questi templi andavano Socrate e Platone, su queste pietre passava Pericle… lo so, è una strana sensazione per chi viene da Roma, ma Atene, che fu città-stato in fondo piccola e per niente cosmopolita, è più identificabile nel suo passato glorioso, anche i suoi cittadini ne sembrano più consapevoli. L’Acropoli è per eccellenza patrimonio dell’umanità UNESCO, anzi direi che è prima di tutto patrimonio immateriale. Prima della salita, adagiato sulla costa dell’ acropoli, è il teatro di Erode Attico, anfiteatro mooolto ricostruito negli anni ’50 ed è bello immaginarselo come era nell’antichitá, col pavimento di legno e tutto coperto, adibito a concerti di una musica a cui non siamo più abituati, ma ancora oggi viene utilizzato per concerti, memorabili furono quelli di Maria Callas e Miki Teodorakis. L’Acropoli mi accoglie con il passaggio attraverso i suoi imponenti Propilei, un vero capolavoro architettonico di 2500 anni fa, con le sue massicce colonne doriche e ioniche, le sue impressionanti architravi di marmo bianco, che risolvono perfettamente il problema del dislivello e dell’integrazione stilistica con il Partenone e gli altri monumenti. La mia bimba è in quella devastante fase in cui sta imparando a saltare i gradini, e quindi ogni ascensione è una via crucis di interminabili pause ginniche, ma questo mi permette di soffermarmi meglio ad ammirare i dettagli (bisogna sempre vedere il bicchiere mezzo pieno altrimenti con una treenne non si viaggia più).
E’ lui, il Partenone, il Tempio degli antichi dei olimpici per eccellenza! Nonostante abbia potuto ammirare in gran parte i suoi fregi al British Museum di Londra, anche spogliato il Partenone mette i brividi. Questo luogo anche dopo il tramonto degli dei è per sempre sacro quanto è sacro l’Uomo. Capisco la criticata decisione greca di non concederlo per le sfilate di moda. sí, la moda è arte, creatività, ma qui parliamo di sacralità, un concetto dell’anima che va preservato. Architettonicamente poi il Partenone è uno spettacolo. Le sue colonne piu’ larghe nel mezzo, piu alte quelle a metà della fiancata, danno un po’un effetto “occhio di bue” ante litteram rispetto alla fotografia. Tutto intorno al Partenone è un gran lavorare di gru che ne stanno restaurando la facciata, e mi domando come abbiano fatto a portarcele, forse con gli elicotteri.
A fianco c’e’ l’ Eretteo con la sua elegante loggia delle Cariatidi che mi riporta ai tempi del Liceo e delle lezioni di storia dell’arte. A proposito di liceo, bella pretesa pensare di potere arrangiarsi con la lingua attingendo alle reminescenze del
greco antico! naturalmente è come pretendere di parlare latino a Roma, nonostante devo dire che a Berlino un gentilissimo anziano signore tedesco, non riuscendo a darmi altrimenti inormazioni stradali si rivolse a me in in perfetto latino. Comunque qui è cambiato addirittura il modo di pronunciare le lettere. Tornando alle Cariatidi, solo un genio poteva affidare il peso della struttura al sostegno di queste leggiadre figure femminili alte 6 metri. Piccolo e bello poi è il tempio di Atena Nike.
Dal belvedere nel punto più alto dell’Acropoli, dove svetta la bandiera greca, la vista spazia su tutta Atene, grande distesa bianca di edifici che occupa tutta la valle, dal Pireo (il porto di Atene, non proprio vicinissimo, come Ostia x Roma) sino alle pendici dei monti. A guardare questa uniforme selva di case, con poco verde, sembra che la cittá sia molto più grande dei suoi 650.000 abitanti, ma molte sono case basse. Comunque Atene è orribilmente inquinata, quando si arriva si percepisce proprio lo smog, poi nel giro di poco ci si fa l’abitudine. Nella vallata bianca svettano ben 6 alture gemelle dell’acropoli, in particolare Filoppapo, Aeropago e soprattutto il Licabetto, in cima al quale c’e’solo una cappella, un teatro e un ristorante, ma raggiungere la sommità a piedi o con la funicolare permette una straordinaria vista, meglio che dall’Acropoli.
Merita sicuramente una visita il moderno ed elegante edificio del Museo dell’Acropoli, che contiene i reperti dell’Acropoli che non sono finiti nei maggiori musei stranieri, ma noi , con solo un giorno e mezzo a disposizione, abbiamo optato per il Museo Archeologico Nazionale, dove sono custoditi i pezzi forti dell’antichità ateniese. La visita richiede tempo, perchè il Museo Archeologico è grandissimo e contiene una grande quantità di reperti, dai vasi(potrei averne anche uno solo?) ai manufatti, alle sculture. Vi è la famosa maschera funebre di Agamennone, che il solito Schliemann portò alla luce tra le polemiche dalle tombe reali micenee; un tempo si malignò che fosse un falso creato ad arte dallo stesso scopritore (perchè quei baffetti di foggia moderna?) Ma oggi si ritiene che la maschera non sia di Agamennone perche’ ancora molto più antica rispetto all’epoca della guerra di Troia. Comunque sia quella cosuccia fatta di una quantità non banale di oro massiccio resta un oggetto affascinante per il mito che richiama. Altri due capolavori del Museo che mi hanno particolarmente colpita sono la scultura bronzea del Fantino di Artimissio, così dinamico nel gesto di correre o spiccare il balzo sulle zampe posteriori, e il bronzo di Poseidone.
Dopo tanta bellezza ci vuole una pausa beceramente turistica per non cadere nella sindrome di Stendhal. La Plaka è proprio ciò che fa al caso nostro: un dedalo pedonale di stradine commerciali piene di bar e ristoranti molto graziosi con i tavolini fuori, negozi di artigianato e di souvenir (finalmente aperti perchè turistici). Una cosa bellissima della Plaka è che quasi ovunque si sente musica, specialmente quella tradizionale e un po’ struggente anche se dal ritmo vivace, suonata col bouzouki e a volte accompagnata dal canto modulato di un uomo o di un bambino. Ammucchiati fuori dai negozi vi sono gli allegri bouquet di gialle spugne naturali che vengono pescate nel mare greco, di dimensioni e forme irregolari. Vi sono poi negozi di riproduzioni di antichitá di terracotta e di bronzo (tra queste ultime grande quantità di dei, elmi e civette), prodotti cosmetici e utensili di legno tratti dall’olivo (tutta piena di olivi questa zona, ma non sono gli alberi millenari della nostra Puglia), appunto olive sottovuoto (buone: ricordate Verdone… so’greche), pistacchi, dolcetti comuni al bacino mediterraneo come lukumi e baklava.
Ma ad Atene la cultura non riesci a scanzarla neanche se ti ci metti di impegno. Proprio lì in mezzo alle bancarelle della Plaka ecco spuntare l’area archeologica dell’agorà romana, con la Torre dei Venti. Questa torre è molto diversa dalle torri dei venti che ho potuto ammirare in Iran. Quelle persiane infatti erano una sorta di impianti di aria condizionata, e si basavano su un ingegnoso sitema per convogliare i venti all’interno degli ambienti e rinfrescarli, questa greca è una strutura di 12 metri di marmo pentelico sulla cui cima era posta una bandierina che indicava la direzione del vento. All’interno vi era un orologio idraulico. Tutto intorno alla parte superiore della torre corre un bel fregio con 8 venti come figure alate negli atti simbolici di portare frutti o gettare acqua o soffiare nel corno e così via, a seconda del tipo di vento e della sua stagione tipica.
La bambina incomicia ad annoiarsi, ed è il momento per presentarle ciò che le avevo fatto pregustare come divertentissima cosa da fare ad Atene: assistere al cambio della guardia. Sì, perchè il cambio della guardia qui è davvero particolarissimo. In piazza Syntagna,davanti al Parlamento e alla tomba del milite ignoto fanno la guardia gl inconfondibili Evzones, con scarpe chiodate adornate da ponpon rosso, calzamaglie e gonnellino plissettato bianco, larga camicia con le maniche a sbuffo e gilet scuro, cappello rosso con lungo pennacchio nero ricadente. Il loro abbigliamento stravagante agli occhi di un turista non ha niente di marziale ed appare più un vestito da ballo folcloristico, ma è un’ impressione sbagliata: intanto bisogna capire quanto per un soldato che ha funzioni di rappresentanza sia importante il legame profondo con la tradizione della comunità nazionale, e poi la guardia presidenziale è un corpo di elite che deriva la sua uniforme da quella storica delle eroiche truppe che combatterono gli ottomani in Grecia. La cerimonia è lenta e molto ritualizzata, il movimento degli euzoni è una sorta di passo dell’oca in due tempi, con le gambe prima alzate piegate e lentamente poi stese in aria, che appare il passo di un fenicottero ed è un po’ buffo ma deve essere difficilissimo per l’equilibrio e la fatica. La bimba ne è entusiasta e passa l’ora successiva ad imitare gli Evzones, un po’rammaricata dall’impossibilità di comprare per lei un vestito simile.
Da Piazza Syntagma, passando davanti ai resti delle terme romane e ai busti dei tre grandi tragediografi Eschilo, Sofocle e Euripide (anche il teatro è nato in Grecia!) costeggiamo il Giardino Nazionale, curatissimo parco di oltre 15 ettari. Arriviamo sino all’Arco di Adriano. Poi decidiamo di inoltrarci nel Giardino, per una pausa dallo smog citttadino, e restiamo sorpresi: a Roma ci sono tantissime ville patrizie con i loro grandi parchi che fanno da polmone verde, ad Atene il verde mi è sembrato poco, ma lo stato di manutenzione del Giardino Nazionale batte alla grande quella dei parchi romani. Tra alberi, prati, aiuole fiorite, laghetti, affiorano qua e là colonne e altri resti archeologici. Sbuchiamo ad uno stadio moderno, ma già storico: lo stadio Panatenaikon, interamente di marmo pentelico, dove si svolsero le prime olimpiadi moderne, significativamente ospitate dallo Stato ove si svolgevano quelle antiche, lasciando da parte ogni divisione e ogni ostilità tra le tante città stato in nome dello spirito sportivo, e di qualcosa di più, in onore degli dei e in fondo in onore della dignità dell’uomo. Lo spirito olimpico, un altro grande regalo della Grecia.
Si è fatta sera, e decidiamo di tornare verso la Plaka che brulica di ristorantini carini, per assaporare un’autentica cenetta greca. Inizio con una deliziosa feta al cartoccio con pomodorini, peperoncini e un filo d’olio. Segue la famosa pita greca, un morbido pane a tasca con kebab, patatine fritte e tzatziki (una salsetta di yogurt,cetrioli e aglio). Qui se si vuole il kebab come lo conosciamo noi bisogna ordinare la pita, perchè invece il kebab greco è fatto di salcicciotti di carne macinata e speziata. Dopo una pita in realtà non si è in grado di mangiare più uno spillo, ma non mi ero regolata e avevo ordinato anche la fava, che a dispetto del nome è un purè di piselli schiacciati con olio e sale, simile all’hummus e dei dolcetti di semolino intinti in acqua e zucchero. Ad accompagnare tutte queste cose buone ci ha pensato la retzina, un vinello bianco dal sapore di resina di pino che si trova solo in Grecia, che servito bello fresco scende volentieri.
Il Royal Olympic hotel è molto bello, ma la vera sorpresa arriva quando la mattina di domenica apro le tende e al di là della grande vetrata panoramica mi trovo di fronte al tempio di Giove Olimpio. Guardate questa foto presa dalla mia finestra!
Il tempio di Zeus Olimpio non è famoso come il Partenone ma vi assicuro che fa una certa impressione, con le sue colonne corinzie alte 17 metri. Sono rimaste in piedi solo quelle che vedete, ma originariamente erano ben 104, cosi che in epoca ellenistica questo era il tempio più grande della Grecia.
Oggi, domenica, è d’obbligo andare a bighellonare per Monastiraki, il quartiere attiguo alla Plaka che è un grande bazar pieno di suoni e colori, dove la domenica si tiene un mercato di cose d’ogni genere, dall’antiquariato alla roba vecchia, all’artigianato, ai prodotti etnici. Non mi è sembrato che ci fossero pezzi d’antiquariato di grande valore, ma la quantità di roba ammucchiata è uno spettacolo imperdibile e magari si può trovare proprio l’oggetto giusto per noi. Tra vicoli e piazzette di Monastiraki si affacciano belle chiese bizantine, la cui discreta penombra racchiude tesori di arte antica,
Monastiraki lambisce ciò che fu il cuore pulsante della vita sociale e politica, ma anche commerciale, di Atene: l’Agorà. Qui mi emoziono davvero perchè proprio tra queste pietre, ove gli ateniesi si riunivano per discutere le leggi, amministrare la giustizia e fare affari, fiorì la partecipazione politica dei cittadini che è l’antenata delle democrazie occidentali, Ma questa Agorà fu anche il luogo in cui si consumò la somma ingiustizia del processo e della condanna di Socrate, che scelse di morire per non sottrarsi alle leggi, che riconosceva come sommo valore morale. Un grande esempio per il nostro popolo di furbetti. La visita dell’Agorà è il mio ultimo saluto ad Atene. Se e quando questa Europa guarirà dalla sua crisi, si libererà da piccoli e grandi egoismi e riuscirà a ritrovare l’ unità morale delle sua grandi radici, dovremo proprio con Socrate “sacrificare un gallo ad Esculapio”.
Sono appena tornata da Atene e ho fatto lo stesso tuo itinerario! Però, non sono riuscita (per pugrizia) a beccare il cambio della guardia. Ma quanto si mangia bene nella Plaka?!?