La nave Stella Australis delle Cruceros Australis è pronta a salpare dalla Terra del Fuoco argentina per doppiare Capo Horn e risalire per 4 giorni la costa cilena fino a Punta Arenas, e la mia eccitazione è alle stelle.
Capo Horn è un isolotto con un promontorio alto poco più di 400 metri, ma non è solo un luogo: Capo Horn è un mito, è la fine del mondo, l’ estremo lembo sud del continente americano alla confluenza dei due oceani, da cui prima del taglio dell’istmo di Panama tutte le navi che volevano passare dall’ Atlantico al Pacifico dovevano obbligatoriamente navigare.
Infatti confrontarsi con Capo Horn è il tributo da pagare per poter navigare nelle acque aperte del Canale di Drake, invece che rimanere imbrogliati nella lentissima traversata dello Stretto di Magellano, dove per di più si doveva pagare una tassa alla Spagna per il passaggio.
Capo Horn, doppiato per la prima volta solo nel 1616 dal navigatore olandese Jacob le Maire, che lo battezzò col nome della sua città natale, non è per tutti i naviganti: si porta dietro la fama sinistra di migliaia di naufragi, tanto da essere considerato un cimitero di navi, ed è stato per secoli motivo di gloria per quell’elite di capitani dei velieri che riuscivano almeno una volta in vita loro a doppiarlo e potevano fregiarsi del titolo di “capitanos horneros”.
Non è molto che abbiamo lasciato Ushuaia , ma siamo già in territorio cileno, diretti verso Puerto Navarrino. Dopo una notte di navigazione, alle 6 di mattina arriviamo in vista di Capo Horn.
Spesso le acque intorno a Capo Horn, i cui fondali passano rapidamente da 4000 metri a 100 metri di profondità, sono battute fa venti fortissimi fino a 220 km/h e agitate da terribili tempeste che provocano onde anomale anche di 20 m, la forte umidità porta a frequenti precipitazioni e a spessi banchi di nebbia, e a volte iceberg alla deriva compaiono improvvisamente all’orizzonte delle navi.
Ma le acque del canale di Drake oggi sono molto calme, l’aria è fredda e pungente, le nuvole sospese basse come isolotti bianchi nel cielo a far da contrappunto agli altri isolotti brulli e scuri che affiorano dal mare.
Sbarco alla fine del mondo
Dalla nave aguzzo la vista in direzione di Capo Horn. La forma è una specie di mezzaluna, un tavolato piatto che si alza progressivamente sino a presentarsi da un lato come una scogliera dritta a picco sul mare. Nessun alto albero cresce in questa terra spazzata dai venti, solo un manto verde scuro di bassa vegetazione.
Nel punto più alto si staglia il monumento simbolo, un rombo di 120 tonnellate di metallo con una silhouette ritagliata dove passa il vento, che rappresenta un albatros stilizzato con le sue grandi ali, omaggio alla libertà, all’infinito del mare, alla forza eterna della natura. “Sono l’albatro che ti aspetta alla fine del mondo. Sono l’anima dimenticata dei marinai morti che hanno attraversato Capo Horn da tutti i mari della terra. Ma non sono morti tra le onde impetuose. Oggi volano con le mie ali verso l’eternità nell’ultima fessura dei venti antartici”
Indossiamo giubbotto salvagente e stivali di gomma, e iniziamo le operazioni di imbarco su degli zodiac calati dalla nave con una carrucola, che ci condurranno sino alle rive del promontorio. Bisogna essere rapidi, le condizioni meteo ottimali potrebbero cambiare repentinamente.
Nel punto di sbarco la scogliera è molto alta, si sale sino alla cima su delle lunghe scale. In alto un cartello avvisa che siamo in territorio cileno e che il promontorio è presidiato dall’esercito: “Armada de Chile, alcaldia de mar Cabo de Hornos”. Per quanto desolato e sperduto nel nulla, questo luogo è militarmente e commercialmente strategico per il Chile, che ha battuto sul tempo l’Argentina nell’occupazione dell’avamposto.
Una lapide sul manto erboso ricorda la spedizione scientifica del Vizealmirante Robert Fitz Roy, illustre esploratore britannico che solcò queste acque sulla nave “Beagle” (nome con cui chiamò il canale di Beagle da lui scoperto). Fitz Roy sbarcò a Capo Horn il 19 aprile del 1830 e piantò il suo pennone sulla sommità dell’isola.
Un’altra lapide è posta in ricordo di tutti gli uomini di mare di tutte le nazioni, che morirono lottando contro gli elementi del pericoloso mare australe cileno. Ed un altro monumento è elevato dalla confraternita dei capitani hornieri a coloro che passarono e a coloro che persero la vita in cerca del passaggio.
Capo Horn è considerato un comune (d’altra parte sarebbe difficile definirlo frazione di qualche altra cosa, essendo lontano miglia e miglia da qualunque altro insediamento).
Gli unici abitati dell’isola sono il complesso del faro, la piccola cappella di legno dedicata alla Stella maris, la casa dove vive con la sua famiglia il guardiano del faro, un sottufficiale dell’esercito cileno isolato per parte dell’anno dal mondo (la stella australis passa da qui solo da settembre ad aprile), in una delle terre più inospitali che esistano. Eppure pare che questa posizione, la cui turnazione dura un solo anno, sia molto ambita, perchè a suo modo fascinosa, e ben pagata anche grazie al diritto di sfruttamento commerciale dei timbri ufficiali e dei souvenir del Capo venduti nel faro.
All’interno del faro è appeso sulle pareti un gran pavese con le bandiere di tutte le nazioni. C’è una rossa cassetta postale che risale al 1902, con possibilità di spedire davvero le cartoline dopo averle fatte rigorosamente stampare con il timbro di capo Horn. Ci si sente quasi protetti in questo bel faro dalle solide pareti bianche, imperturbabile ai venti che ora iniziano a soffiare molto forte, mentre una pioggerellina non preannuncia nulla di buono. E’ il momento di salutare Capo Horn e di tornare a bordo degli zodiac.
Baia Wulaia, il luogo dello sbarco di Fits Roy
La prossima tappa è la baia Wulaia dell’Isola Navarino, un posto naturalisticamente molto bello dove ci fermiamo per un trekking fino al punto più panoramico, la montagna che si trova all’interno della baia.
Una lapide nel punto dello sbarco ricorda Darwin che giunse qui a bordo della Beagle al seguito di Fitz Roy.
Fitz Roy qui per la prima volta entrò in contatto con gli indigeni e ne riportò quattro in Inghilterra, dove li istruì ed educò alle buone maniere che appresero bene tanto da essere presentati alla Regina. Ma riportati in patria con la speranza che trasferissero ciò che avevano appreso agli altri indigeni, gettarono al vento i vestiti e corsero nudi verso la propria tribù, abbandonando ogni velleità di civilizzazione.
Qua e là, disseminati sulle montagne che si affaccciano sulla costa, si possono ammirare a macchia di leopardo dei ghiacciai. La temperatura è di 11 gradi e si sta d’incanto. Non c’è il vento terribile di Capo Horn.
Wulaia in lingua Yamana (la tribù indigena che visse qui per oltre 6000 anni e di cui oggi reata solo l’ultima anziana discendente) significa “bella baia” e bella lo è davvero, con la sua flora molto ricca, ed un fitto e vario bosco con molta acqua.
La guida ci mostra alcuni aspetti caratteristici della flora locale: c’ è una specie di grosso fungo tondo, il “pane de indio” che cresce sui rami degli alberi come un tumore e gli alberi creano delle escrescenze per proteggersi, ma il fungo matura all’interno di esse nel mese di novembre ed è non solo commestibile ma anche buono. Un’ altra pianta parassita a forma di verde palla appesa ai rami degli alberi è la così detta lanterna cinese. Qua e là dagli alberi si affacciano splendide orchidee dal fiore giallo.
C’è una zona di corsi d’acqua e tronchi secchi a centinaia e rami sparsi al suolo. E’ una castorera, con gli alberi abbattuti dai castori per fare le dighe. Le palizzate erette dai castori sono davvero un’opera di ingegneria che si stenta a credere opera di questi animaletti. Ci imbattiamo anche in alcuni simpatici castorini, tanto carini quanto micidiali distruttori per le zone boschive dell’estremo sud del mondo.
Dall’alto la vista è meravigliosa sul mare piatto, la costa frastagliata degli isolotti, i ghiacciai all’orizzonte, nostra prossima meta.
I ghiacciai del parco Alberto Maria de Agostini
Trascorre un’altra notte di navigazione, prima di avvicinarci ai ghiacciai della costa pacifica cilena, nel parco Alberto Maria de Agostini. E’ una zona di strette insenature nella costa continentale, che costituiscono un parco nazionale molto esteso, esplorato per la prima volta solo negli anni ’50 dal prete salesiano italiano De Agostini. E’incredibile ma ancora alla metà del ‘900 esistevano vaste aree del continente sudamericano inesplorate!
Arriviamo ai piedi del ghiacciaio Aguila, nel seno De Agostini, ai cui piedi sorge un lago formato dal ghiacciaio. L’aria qui è decisamente più fredda, i ghiacci si fanno sentire. Il ghiacciaio è molto vicino alla costa, dietro ad una spiaggia e ad una fascia di bella alta vegetazione.
La spiaggia è fatta di ciotoli, alghe giganti e cozze velenose, in grado di ammazzare una persona in due ore. Le altre conchiglie sono tutte bucate, con un piccolissimo forellino, da cui una lumaca di mare predatrice succhia il mollusco all’interno dei gusci.
Tra il verde occhieggiano colorate diverse bacche; c’è la bacca bordeaux chiamata chauria o pernezia , con proprietà afrodisiache ed un sapore di mela amarognola, il viola calafate, frutto simbolo di questi luoghi di cui si dice che chi lo mangia ritorni qui, poi c’è la fruttilla del diablo (fragola del diavolo)di un bel rosso brillante, che pare abbia proprietà lassative; almeno gli spagnoli che arrivarono qui ne mangiarono in grande quantità e stettero poi male d’intestino, pare però per l’abbuffata.
Ci sono poi grandi cespugli di margherite bianche alte fino alla vita di un uomo, che formano quasi un boschetto . Camminare in un bosco di margherite con lo sfondo del ghiacciaio è meraviglioso.
Il ghiacciaio stesso non è bianco come ci si potrebbe aspettare, ha mille sfumature delle sue cristallizzazioni elaborate, dal candido all’azzurro intenso e man mano che ci si avvicina ci si rende conto di quanto sia grande, cosa che dal mare non si percepisce pienamente.
I pinguini Magellano dell’isola Magdalena
Ci dirigiamo verso l’isola Magdalena, dove vive una colonia di 70.000 pinguini Magellano. Sulla nave, nonostante si sia ancora ben lontani dalla costa, arrivano controvento le zaffate di guano di pinguino e pian piano si intravedono sempre più nitide delle macchioline bianche di cui è disseminata tutta l’isola: i petti dei pinguini!
Già allo sbarco i pinguini curiosi ci attendono sulla spiaggia a centinaia. Un cartello ci dà il benvenuto nel monumento naturale dei pinguini. La terra dell’isola è tutta bucherellata dalle tane scavate a poca profondità dai pinguini, che vi stanno dentro in coppia. I pinguini sono tendenzialmente monogami e maschio e femmina covano a turno le uova.
Nelle colonie allo stato libero vivono circa 20 anni, mente in cattività raggiungono i 30 anni.
In questa stagione sono capitata negli ultimi giorni di svezzamento dei piccolini, che vengono nutriti sia dal maschio sia dalla femmina che per procurare loro il cibo si spingono anche fino a 100 km di distanza. I piccini che aspettano il cibo nei nidi, in questo periodo stanno per cambiare le piume che da grigie diventano bianche e nere con la classica doppia striscia tipica solo dei pinguini Magellano. Il pelo è idrorepellente, ha una camera d’aria sotto alle piume, reso ancora più impermeabile dal liquido secreto da una ghiandola che si trova dietro al portapenne.
La spiaggia è equamente divisa dai pinguini con gli albatros bianchi e neri, numerosissimi e affiancati nella medesima direzione.
Vedo i pinguini nuotare e saltare in mare,con molta velocità e agilità, lontani dalla goffezza del loro passo sulla terraferma. Nel mare abbiamo anche un fugace incontro con due delfini.
Punta Arenas
Sbarchiamo a Punta Arenas, il termine del nostro viaggio, . E’ una città di 130.000 abitanti, che si estende lungo la Costa Negra, il primo vero porto che incontriamo sulla costa pacifica, con le grandi navi cargo che ne testimoniano la vocazione commerciale. Da qui partono anche tutte le spedizioni scientifiche verso l’Antartide e le costosissime ma uniche crociere turistiche per il continente bianco. Se avete qualche decina di migliaia di euro che vi avanzano, date un’occhiata alle spedizioni del National Geographic Expeditions.
Pur essendo una città fondata solo nel 1848, è però stata arricchita da numerosi monumenti e bei palazzi di stile europeo e coloniale, perchè tutti i traffici commercialii tra Atlantico e Pacifico passavano da qui, e Punta Arenas era divenuta un centro ricchissimo ed importante; oggi, pur avendo perso l’importanza strategica di un tempo, resta una città molto graziosa e operosa, grazie alle attività di estrazione del gas naturale, all’allevamento ovino, e alla manifestazione popolare del carnevale d’inverno che richiama tantissimi turisti da tutto il continente sudamericano; è caratterizzata dalle case basse coloratissime e col tetto spiovente che sono così tipiche della Terra del Fuoco e che danno anche alle zone più anonime un carattere allegro e vivace. Punta Arenas è diventata sempre più una città turistica che fa concorrenza ad Ushuaia.
Nel porto c’è un monumento con una grande coda di balena, richiamo al passato neanche troppo lontano, quando questo era porto di baleniere, quando andare per mare significava avventura vera, sfida per la sopravvivenza, lotta contro una natura estrema e mai domata.
Punta Arenas è il capoluogo della regione di Magellanos, e a Magellano, grande esploratore dei mari del sud, è dedicato il monumento della piazza principale, Plaza Munos Gameros.
Esiste anche un museo dedicato alla Nave Victoria con cui Magellano attraversò per primo lo stretto dandogli il suo nome, con un modello della nave in dimensioni reali.
Ma all’uomo bianco fa da contrappunto l’indios, i cui piedi vengono strofinati dal viaggiatore per ritornare qui.
Nella Plaza des Armas sorge la cattedrale con il suo caratteristico campanile a punta e il palazzo del governo locale. Avenida Espagna e Avenida Bulnes sono le due vie più eleganti del centro cittadino.
Da Avenida de Espagna si può salire in alto al mirador, il punto panoramico che abbraccia un vastissimo orizzonte e su cui si trova un grande cerchio che rappresenta una bussola con tutti i paesi più importanti del mondo.
Un monumento molto grazioso è quello al pastore, con il suo gregge di pecore, i due cani pastori che lo precedono e lo seguono, ed il cavallo.
Non si può mancare una visita al suggestivo cimitero di Punta Arenas, con dei viali costeggiati da incredibili cipressi potati geometricamente ad uovo come altissime siepi di bosso, alla cui ombra sono le eleganti cappelle che custodiscono la storia di questi luoghi. Si può entrare solo dalla porta laterale, perchè l’ingresso monumentale fu murato per volontà di Sara Braun, colei che diede terreno e soldi per la costruzione del cimitero e che volle che lei sola potesse entrare da morta dal portone principale.
A Punta Arenas vi è una zona franca, dove non si pagano tasse sugli acquisti fino a 1200 dollari, e dove quindi si possono fare buoni affari, non solo sui ricordi tipici, ma anche sui prodotti tecnologici. Io invece mi sono limitata a fare acquisti di pronto consumo al mercato alimentare: merlyzzo fritto e della squisita centolla patagonica, il rosso granchione servito in fumanti terrine con burro ed aglio.
Nella notte tersa di Punta Arenas brillano le stelle luminose dell’emisfero australe, quelle che molte centinaia di km oltre si possono ammirare dai grandi telescopi della Ruta del Estrellas. Domani inizia un’altra avventura, risalire il Cile dal profondo sud, all’Isola di Chiloè, al vulcano Osorno fino ai deserti e agli altipiani del nord: dal grande freddo al grande caldo, la varietà di una natura estrema è ciò che affascina di più in questo Paese.
Leggere il tuo articolo per me è stato emozionante; la Patagonia e Capo Horn sono nella mia lista dei desideri da secoli, ma ancora non sono riuscita ad andarci. Quindi continuo a leggere tutto quello che posso e a sognare… e a provare una sana invidia per chi ha visitato questa destinazione da sogno!
Questi luoghi sono un vero sogno nel cassetto. In attesa di poter concretizzare il viaggio, leggo con molto piacere i racconti di chi è stato e sogno ad occhi aperti.
Una meta che vorrei prima i poi visitare e che si trova nella lista dei desideri! Ma ce la farò prima o poi
La natura è al centro di queste pagine… A me rimane solo di sognare ad occhi aperti.. Ma sono sogni meravigliosi. Complimenti…