Il Nepal è un Paese relativamente piccolo ma il suo ecosistema è davvero vario, perchè va dalle vette dell’Himalaya alla jungla della parte meridionale ai confini con l’India. Proprio qui, nella zona subtropicale del Terai, sorge il Parco Nazionale di Chitwan, una vasta area di foresta vergine che si snoda intorno al fiume Rapti, dal 1984 parte del Patrimonio Unesco.
La fauna del parco è molto ricca: vi sono oltre 500 specie di uccelli, più di 120 specie di pesci, molti rettili e anfibi, 68 specie di mammiferi, tra cui diversi tipi di cervi, scimmie, orsi, elefanti, leopardi e soprattutto la tigre del bengala e il rinoceronte asiatico.
Visitare il Parco Nazionale di Chitwan è quindi una promessa di grandi emozioni, anche se bisogna ricordare che l’area è molto estesa e, in particolar modo per le specie più rare, l’avvistamento è un’eventualità, in alcuni casi anche remota.
Prendiamo ad es. la tigre del bengala, un tempo regina di quest’area così come dei vicini parchi indiani: la sua presenza su questo territorio, fino ad un tempo nemmeno troppo remoto, ha subito un grave calo, in quanto prima della creazione del parco protetto questa era considerata riserva di caccia privata e uccidere una tigre era la massima gloria per diverse finalità, non ultima per l’idea che meditare seduti su una pelle di tigre trasmettesse le forze del povero animale.
Oggi la popolazione delle tigri è di nuovo in aumento, ma se proporzioniamo la popolazione di tigri al territorio del parco, ci rendiamo conto che ciascuna tigre ha a disposizione per sè qualcosa come 65 km quadrati, e quindi le probabilità di incrociarla in una traversata con la jeep dei sentieri del parco è abbastanza bassa. Io infatti non ho avvistato nessuna tigre del bengala, anche se avevo avuto la fortuna di vederne ben due in India, nel Parco nazionale di Ranthambore.
Anche i rinoceronti asiatici non hanno avuto vita facile, perchè oltre alla caccia “legale”, si è aggiunto in anni abbastanza recenti il problema dei guerriglieri maoisti. Vi chiederete giustamente cosa c’entrano i guerriglieri maoisti con i poveri rinoceronti. Ebbene, per finanziare la loro lotta, questi guerriglieri si sono trasformati in temibili bracconieri, cacciando i rinoceronti al solo scopo di venderne, carissimo, il corno considerato come sostanza dalle proprietà terapeutiche esclusive nella medicina tradizionale asiatica.
Debellato il bracconaggio dei guerriglieri maoisti, il rinoceronte asiatico ha incominciato a riprodursi nei 4 parchi nazionali che lo ospitano, ma la quasi totalità degli esemplari si trova a Chitwan. Il rinoceronte asiatico è diverso da quello africano, perchè quello ha due protuberanze, mentre il rinoceronte asiatico ha un solo corno.
Nonostante ve ne siano a Chitwan circa 500 esemplari, non è facile imbattersi nel rinoceronte, che ama restare ben immerso nella vegetazione fitta della foresta, o in mezzo all’erba elefantina alta molti metri, dove con la sua mole d’urto non ha difficoltà ad addentrarsi. Inoltre non è un animale proprio socievole, e se disturbato si allontana e in alcuni casi ha anche tentato di ribaltare le jeep moleste.
DALL’ALTO DELL’ELEFANTE
La scelta un po’ scomoda ma vincente è stata quella di effettuare un safari a dorso di elefante. Il mio elefante, Rannikali, è un bestione imponente, molto dolce ed equilibrato. Sul suo dorso è caricato un baldacchino capace di portare 4 persone sedute due per lato con i piedi che scendono lungo il fianco dell’animale, che si aggiungono al guidatore che si colloca avanti, sulle spalle e alla guida che si pone dietro in piedi per avvistare gli animali. Non posso negare che l’avanzare dondolante dell’elefante non è comodissimo in questa posizione, ma gli avvistamenti ripagano di tutto.
Infatti l’elefante è in grado di avanzare tra l’erba elefantina, tra cui si nascondono molti animali, che non scappano perché l’odore del pachiderma copre del tutto quello dell’uomo, e così possono essere tranquillamente ammirati dall’alto e in tutta sicurezza, visto che nessuno si sognerebbe di attaccare un elefante.
E così ecco passare davanti ai nostri occhi tanti cervi, i maschi con le lunghe corna ramificate, i piccolini così dolci con le loro macchie bianche sul manto come Bambi.
Ci avviciniamo tanto ad alcuni rinoceronti, dei bestioni davvero enormi che sembrano dei carri armati. Ma anche loro sanno essere teneri quando si tratta di accudire i loro piccoli, e l’emozione è grandissima quando avvistiamo una mamma rinoceronte che allatta il proprio piccolino che la segue trotterellando per ciucciare da dietro la sua mammella. Il piccolo ha solo due mesi ma è già una bestiolina che incute un certo rispetto.
IN CANOA
La seconda escursione è con la canoa lungo il fiume. La nebbia è molto fitta nelle prime ore del mattino e la visibilità purtroppo non è il massimo, ma piano piano l’orizzonte si apre e lungo le sponde si vedono tantissimi uccelli, molti dei quali di sosta qui per pochi mesi nella loro migrazione.
Ci sono anche molti coccodrilli che nuotano o sonnecchiano sul bagnasciuga; accanto ai classici coccodrilli con le larghe fauci che possono divorare animali e uomini, ci sono i “gaviali del Ghange”, degli stranissimi coccodrilli con il muso lungo e stretto come un pesce spada, che si nutrono di pesce e lo catturano appunto con questa sorta di becco (notate la differenza: nella foto sopra il gaviale, nella foto sotto il coccodrillo).
IN JEEP
Con la jeep invece ci addentriamo nella jungla, lungo sentieri che sono solo piste e fanno sobbalzare il veicolo da una buca all’altra, e guadiamo persino un corso d’acqua sfruttando le capacità anfibie del nostro mezzo. La macchina è aperta, al contrario di quanto avveniva in Africa le guide non hanno un fucile, mi preoccupa un po’ l’idea di un incontro ravvicinato con un animale feroce, perché qui si annidano tigri ma anche leopardi, e gli stessi rinoceronti che dall’elefante guardavamo dall’alto.
Tra gli alberi le scimmie si dondolano agili da un ramo all’altro con le lunghe zampe e con le code prensili. Su un ramo un grande gufo ci guarda con gli occhi spalancati. Alcuni branchi di cervi di varie specie ci vedono e scappano spaventati tra la vegetazione, questa volta non c’è l’elefante a coprirci col suo odore.
I rami degli altissimi alberi si intrecciano , le piante parassite inglobano alcuni alti tronchi e li soffocano sostituendosi a loro, le orchidee si avvinghiano alle chiome.
La guida si ferma di colpo, ha individuato impronte fresche di tigre, e perfino una sua marcatura sul tronco di un albero. che odora di ammoniaca ma tutto sommato è meno puzzolente della marcatura del mio gatto; ma poi la traccia si perde nel fitto della foresta, niente tigre questa volta.
Ma proprio sulla via del ritorno, mentre ormai ho allentato l’attenzione e non ho pronta la macchina fotografica, ecco la grande sorpresa. In mezzo alla strada si pianta un orso, ci squadra attento e poi scompare tra gli alberi. E’ uno “slot bear”, una specie autoctona con una pianta delle zampe simile a quella del bradipo, da cui prende parte del nome, ma al contrario di quello, è piuttosto agile e veloce
LA GENTE THARU DEI VILLAGGI
Torniamo al lodge, che è un luogo molto bello e curato. Molta economia locale gira intorno a queste strutture ricettive, che danno un po’ di spinta ad un’economia rurale poverissima. Tutto il personale viene dalle capanne di fango dei villaggi circostanti, e veste impeccabile le divise bianche del resort durante il giorno. Alla sera, davanti ai fuochi accesi sulla riva del fiume, vengono disposte le sedie e arrivano donne e uomini da quei villaggi, ad esibirsi in balli e canti ancestrali, con vestiti più poveri di quelli degli altri show organizzati, ma certo autentici.
Così nasce in me il desiderio di visitare i villaggi vicini, e la guida locale , che oltre ad essere un esperto naturalista è anche un grande conoscitore della storia e dei costumi di Chitwan, dove è nato e cresciuto, mi accontenta.
A bordo di un carro trainato dai buoi, tra piantagioni di banane e campi di riso e curcuma, arriviamo ai villaggi,poche casupole lungo la strada, alcune di fango e paglia, altre coperte di lamiera,erroneamente considerata una miglioria, altre ancora modeste costruzioni in mattoni. Davanti alle casette, libere, riposano mucche e tante caprette.
Le case tradizionali hanno il pavimento di terra battuta, un unico ambiente per dormire e un’altra stanza per cucinare, e un sottotetto per ammassare le masserizie, a vantaggio anche dei topolini e saltuariamente degli ingombranti elefanti selvatici, uno dei quali proprio la sera prima aveva devastato il magazzino e dato una bella culata alla porta nel tentativo di entrare a mangiare qualche altra cosuccia.
L’etnia prevalente a Chitwan è quella Tharu, da sempre conosciuti come piccoli agricoltori.
Fino a 50 anni fa qui persisteva una sorta di società feudale. Ci racconta la guida che i proprietari terrieri, una sorta di feudatari con potere assoluto sui contadini, sceglievano di volta in volta le donne più belle con cui passare la notte, sia che fossero vergini sia che fossero sposate. Se restavano incinte il figlio doveva essere accettato dai mariti come un “dono” del feudatario.
Da qui l’usanza di riempire le parti del corpo che restano visibili con pesanti tatuaggi, non come segno civettuolo di abbellimento, ma per rendere il corpo brutto e poco attraente per i potenti di turno. Finchè un giorno, circa 50 anni fa, gli uomini si accordarono e con i bastoni andarono a trovare il feudatario obbligandolo a giurare di non molestare più le loro donne, e così da allora fu.
Il tempo dedicato all’incontro con i Tharu dei villaggi si è rivelato ben speso, ho potuto conoscere persone miti e laboriose, ed apprezzare il ruolo di emancipazione e sostegno all’economia che le strutture di turismo sostenibile operano quando sono integrate con le realtà locali.
L’ultima sera nel parco si tinge di un pizzico di magia al Barahi Jungle lodge che mi ha regalato tante emozioni, e dove una splendida sorpresa è stata preparata dalla guida solo per la mia famiglia: con una scusa veniamo accompagnati in una zona boschiva ai margini del resort, dove sui rami degli alberi sono state appese centinaia di lanterne nel buio, ed è stato acceso un fuoco e preparato un barbecue tutto per noi per una cenetta deliziosa.
Tutto il personale che ha preparato questa sorpresa viene dai villaggi Tharu che ho visitato; percepisco in loro una grande cura, un’attenzione a trattarci come ospiti nella loro terra, a farcela apprezzare in ogni suo aspetto, e di questo sono profondamente grata.
Ahah mi hai ricordato mia madre, quando le urlavo e le rispondevo male mi diceva “eccola, la tigre del Bengala!” 😂😂 Che bello un viaggio in Nepal, i safari, la giungla, i villaggi. Come si fa a partire e andare in Nepal, dimmi! 😊
Tra l’altro è un viaggio non costoso, sai i prezzi in Nepal sono molto bassi e dalla mia esperienza ci si può limitare a comprare alcuni servizi in loco.
Resto sempre estasiata davanti alla bellezza della natura e dalla varietà di specie che abitano il nostro pianeta, ma al tempo stesso rimango inorridita dalla crudeltà dell’essere umano che uccide senza pietà! Con questo articolo ho scoperto un altro angolo di paradiso terrestre a me sconosciuto, grazie mille! 😉
Credo che mi sarei molto divertita in groppa all’elefante a scattare foto ai vari animali. Anche se un po’ di timore anche di questo pachiderma io ce l’ho.