La Cina è di per sè un continente, e Bejing una nazione di 21 milioni di abitanti. Immagino Roma riproporzionata a quei numeri e la sola idea mi mette i brividi, così che resto ammirata dell’ordine e del generale buono stato manutentivo delle infrastrutture della capitale cinese. Bejing ha una gloriosa storia e dei monumenti unici al mondo, grandiosi, carichi di suggestione e di simbolismi, di raffinata bellezza orientale. Però, però…mentre Roma vive in simbiosi con la sua storia, da cui per rovescio della medaglia è condizionato lo sviluppo della sua modernità, i luoghi monumentali di Bejing mi appaiono come delle oasi di memoria che non hanno più collante con una metropoli cresciuta, pur con tutti gli accorgimenti urbanistici del caso, oltre i limiti di urbanizzazione entro i quali una cittá è piacevolmente vivibile. I palazzi moderni sono decorosissimi e puliti ma anonimi, le persone vestite con uguale decoro ma senza vezzo od eleganza. I lavoratori che ho incontrato, per lo più nel settore dei servizi, sono (con qualche eccezione di eccellenza e viceversa di sciatteria) precisi ma non entusiasti. Forse questo appiattimento, questa rinuncia all’eleganza è il prezzo da pagare per una società sobria in cui ciascuno ha poco ma non si muore più di fame. Chissà se questo sviluppo senza ostentazione, che sta portando la Cina sempre più alla ribalta dell’economia mondiale, sarebbe potuto essere più armonioso se si fosse coniugato con i valori spirituali tradizionali che stanno perdendosi nelle nuove generazioni. Ma in fondo, sotto altre spoglie, la questione è la stessa del mondo occidentale. Sicuramente però qui salta agli occhi il tentativo del regime di controllare e indirizzare dirigisticamente non solo l’organizzazione della societá ma anche le coscienze , più che in altri Paesi comunisti (penso a Cuba in cui si nota lo sforzo di creare con l’insegnamento una coscienza etica collettiva improntata a valori di uguaglianza, o al Vietnam in cui la struttura ancora in gran parte rurale e una forte spiritualità determinano un’adesione spontanea a valori ancora tradizionali).
Basti pensare all’oscuramento di tutti i social network, da whatsapp a twitter a facebook, in realtá facilmente superabile, per uno straniero almeno, attraverso una connessione vpn che simula un accesso dall’estero. O ancora al divieto di propaganda religiosa, e al tentativo di ridurre a fatto solo privato ogni sentimento religioso, pretendendo di entrare d’imperio nell’organizazione delle comunità religiose e nei culti, come nel caso del buddhisti in Tibet, dove da un lato sono stati perseguitati ed esiliati i monaci e dall’altro è stato imposto un Panchen lama riconosciuto dallo stato e non come è tradizione identificato dal Dalai Lama, ma il florido tempio dei lama a Pechino è finanziato dallo Stato; del resto è accettata una chiesa cristiana di stato ma sono perseguitate le chiese domestiche. Il risultato è una popolazione atea al 90%, sempre meno interessata alle manifestazioni di religiosità ma forse anche alla ricerca spirituale.
La guida è una ragazza acqua e sapone, dolce e un po’ingenua, che viene da una città di provincia, con la sua spilla del partito comunista sulla camicetta e i suoi appunti scritti fitti fitti in ideogrammi sulle cose importanti da spiegarci. Si capisce che è una studentessa universitaria diligente ed abituata ai sacrifici. Parla un buon inglese ma bisogna mentalmente sostituire le R necessarie ad una sovrabbondanza di L, come nelle barzellette.
Si parte da piazza Tienanmen, la piazza della Pace Celeste, la più grande e forse la più famosa al mondo. La piazza è tutta delimitata da barriere antisommossa, vi si accede dopo una lunga fila vigilata da soldati non fotografabili e dotati di attrezzi respingenti per la folla, e dopo controllo di documenti e borse. La piazza è sterminata, ma mai vuota. In questi giorni poi, ricorre festa nazionale per i cinesi, che consiste soprattutto in riposo per le famiglie e molti si riversano nella capitale, la cui visita rimane ancora oggi l’ambito premio promesso ai figli per il buon rendimento scolastico.
Qua e là si aggirano poliziotti in borghese e telecamere riprendono ogni angolo della piazza dall’alto dei lampioni. Qualche camioncino vende bibite, bandiere rosse e ciondoli portafortuna double face con il ritratto di Mao e l’ingresso della città proibita, che domina uno dei lati della piazza. Dall’altro , come contraltare, si trova il mausoleo con la mummia di Mao, a cui si accede attraverso altra interminabile fila che mi sono risparmiata; Mao è comunque ancora un culto assoluto in Cina, nonostante le epurazioni della rivoluzione culturale che non lo hanno scalfito, come un mito è il tuttora amato Zhou Enlai.
Sui lati lunghi della piazza, edifici di stampo socialista cinese, come il Museo Nazionale cinese e la Grande Sala del Popolo, sono grandi ma non grandiosi,non appaiono di grande appeal artistico. Semplice e solido cone questa nazione è anche il Monumento agli Eroi del Popolo, un’alta stele (38 metri per 10000 tonnellate di marmo e granito)in onore degli eroi martiri delle lotte rivoluzionarie del XIX e XX secolo, a partire dalla guerra dell’oppio che costituì grande momento di rivolta contro le potenze coloniali, fino alla proclamazione della Repubblica Popolare nel 1949. Interessanti sono i monumenti che immortalano la lotta vittoriosa della societá popolare cinese, ritraendo la marcia di studenti, operai, contadini, donne e uomini, in quello stile eroico e celebrativo che continua a piacermi tanto.
La guida ci sciorina la sua lezione di storia e cita i 4 eventi per cui è famosa Piazza Tienanmen: le proteste del 1919,l’abdicazione dell’ultimo imperatore, annunciata dalla moglie dalla finestra della porta del cielo, la proclamazione della Repubblica popolare cinese, le grandi manifestazioni di piazza della rivoluzione culturale. Veramente in occidente la piazza è tristemente famosa per quelle immagini degli studenti a mani nude che cercavano di fermare l’avanzata dei carri armati che stroncarono nel sangue la primavera democratica cinese nel 1989, mentre in Europa cadevano i muri e si sgretolava il socialismo reale d’oltre cortina. La guida non ne parla e io non voglio metterla in imbarazzo. Capisco.
Ma capita che la sera torniamo da soli in quella piazza, che nel buio del cielo ancora più crea la suggestione del grande spazio vuoto, e Giulia, la mia bimba di 4 anni che con quella spontaneitá priva di imbarazzo propria solo dei piccoli non perde l’occasione di familiarizzare non solo con tutti i bambini che trova, ma anche con i loro genitori, ci procura una nuova amicizia. Chiacchieriamo a lungo di tante cose, quella mamma cinese mi appare una persona aperta e interessante, e così finisco per chiederle di piazza Tienanmen. Andiamo a parlare in un altro posto, mi dice, qui è pieno di spie del partito. Mi racconta come questo drammatico momento sia stato censurato dal governo cinese, arrivando addirittura ad accordi con google per il filtraggio delle ricerche, e forse ne sappiamo più noi che loro. Ma le voci che sono corse, clandestinamente diffuse dai superstiti, narrano di una piazza chiusa dall’esercito ad impedire la fuga degli studenti, di spari a tappeto sulla folla, della piazza diventata un unico tappeto di sangue, dei partecipanti alla primavera democratica che hanno avuto da allora la vita impossibile, con carriere stroncate e difficoltà a trovare lavoro per andare avanti. Se c’è ancora un sussulto nei giovani? No, l’episodio è stato così forte che ha creato una frattura nelle coscienze dei cinesi che pure amano tanto la loro nazione, una voglia di rimuovere e volgere lo sguardo ad altre conquiste; i giovani oggi cercano (e trovano) la sicurezza ed il benessere economico. In fondo anche la sicurezza dà una parvenza di libertà, e il benessere permette un’emancipazione da modelli arcaici che è anch’essa una liberazione, e la libertà dal bisogno basta al momento. Pragmatismo?Sì, Del resto se non importa se un gatto è bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi, come diceva Deng Xiaoping, questa Cina i topi li acchiappa magnificamente.
Dei vari palazzi della Corte Esterna il più famoso è quello della Suprema Armonia, il più grande palazzo di legno della Cina. Qui tutte le proporzioni hanno valori numerici simbolici legati all’imperatore, e ovunque troneggia il simbolo maschile del drago; l‘interno del palazzo si può solo ammirare da fuori, e nell’ombra si perde molto (d’altra parte il numero dei visitatori è tale da non permettere altra soluzione): spiccano il maestoso trono, e il lampadario a forma di drago appeso al soffitto a cassettoni.
Il palazzo più piccolo della Preservazione dell’Armonia, che veniva usato per la preparazione delle cerimonie, è anche il luogo dove a tutt’oggi sostengono il loro esame finale i tre più brillanti studenti di Cina, già selezionati accuratamente, dai migliori di ciascuna provincia.Essere considerato il migliore studente in una popolazione di miliardi di persone ed essere incoronato dottore nella città proibita è un onore unico al mondo, ma dice la guida che in Cina le persone sono talmente tante che ci si può permettere di selezionare i migliori studenti, così come i migliori funzionari, non solo attraverso canoni di bravura ma anche di presenza estetica.
I palazzi della Corte Interna erano usati non a scopi pubblici o cerimoniali ma come residenza privata dell’imperatore e della sua famiglia. I tre palazzi principali sono ispirati al rapporto tra Yang e Yin, maschile e femminile, drago e fenice, cielo rotondo e terra quadrata. Il palazzo della Purezza celeste era dell’imperatore, il palazzo della Tranquillità terrestre dell’imperatrice, il palazzo dell’Unione era il momento di armonia tra il mondo maschile e quello femminile. Tanta tranquillità non doveva esserci per le imperatrici, che vivevano in una continua lotta con le altre mogli e concubine, per il potere e per la vita stessa; dare alla vita il primo figlio maschio e preservarlo dagli intrighi di corte era essenziale per il mantenimento del ruolo; tuttavia da un certo punto in poi gli imperatori non utilizzarono più come criterio di successione quello del primo figlio, ma designarono segretamente tra i figli il loro erede, ed il nome veniva reso noto anche allo stessoprescelto solo dopo la
morte dell’imperatore.
I nomi dei vari palazzi sono assolutamente suggestivi: il palazzo della tranquilla longevità, il palazzo della pace imperiale, il palazzo dell’educazione mentale, la sala dell’eminenza militare, quella della gloria letteraria… Dopo tanta magnificenza i giardini imperiali, così raccolti, sembrano piccoli in proporzione, ma sono molto armonici e piacevoli.
Di giardino in giardino usciamo dalla Città Proibita e andiamo a visitare il Tempio del Cielo, immerso in un parco dai curati alberi secolari (oggi arricchito da qualche elemento moderno come “il giardino dei meteoriti” con grosse pietre bucherellate che simulano asteroidi piovuti al suolo), che un tempo era legato a riti stagionali per i raccolti o per la pioggia, officiati dall’imperatore, capo di una società rurale, in determinati giorni dell’anno, come l’alba del solstizio d’inverno o il primo giorno dell’anno lunare. Ancora si possono vedere i forni destinati agli olocausti di animali o le decorazioni dei motivi delle nuvole che portano pioggia e con essa la fortuna dei campi. Oggi i giardini sono un luogo molto bello, dove le persone fanno ginnastica alla mattina presto, le famiglie portano i loro bambini, e gli anziani si fermano sotto i bellissimi portici dalle capriate di legno smaltate di motivi verdi ed azzurri a giocare agli scacchi cinesi. Da appassionata di scacchi, tento di farmi spiegare le regole degli scacchi cinesi, che sono però un gioco tutto diverso e molto complesso anche se mi sembra assai affascinante, ma i pezzi che sono pedine come quelle della dama si distinguono per gli ideogrammi che vi sono dipinti, e questo rende eccessivamente complicata la comprensione per i non cinesi. La porta di accesso allo spazio sacro del Tempio del Cielo va varcata col piede destro dalle donne e con quello sinistro dagli uomini. Anche qui come nella città proibita, si rincorrono elementi simbolici di tutti i tipi, draghi, fenici, nuvole, numeri, e così imparo persino a distinguere il drago (5 dita della zampa) dal figlio del drago (4 dita). Ed ecco stagliarsi sulla cima di tre ordini di terrazze di marmo tutte decorate con draghi e nuvole, alto e circolare il coloratissimo Tempio del Cielo, meritatamente patrimonio UNESCO, tutto in legno senza un solo chiodo, con un tetto conico posato su 28 colonne circolari, rappresentanti le stagioni, i mesi dell’anno e gli intervalli di 2 ore nel giorno. Spettacolare è anche l’altare del cielo, che è un a pietra su cui convergono le linee di un grande spazio circolare rappresentante il cielo inscritto in un quadrato rappresentante la terra.
Negli spostamenti va via tanto tempo. Pechino è una città con una buona struttura urbanistica quadrata, con grandi strade di scorrimento, e tante migliorie apportate in occasione delle olimpiadi, ma 21 milioni di persone che si spostano sono comunque un problema. Ne risente la qualità dell’aria, che spesso è così inquinata da costringere anche i locali ad andare in giro con una mascherina su naso e bocca (la guida ne ha una scorta e ci invita ad usarle, ma io non trovo in fondo la puzza di smog molto diversa da quella di Roma). In questi giorni di festa, poi, sembra che tutti gli abitanti di Pechino abbiano deciso di infilarsi nelle automobili e di intasare il traffico, considerando anche che le mitiche biciclette sono ormai mooolto meno usate, addirittura proibite nelle strade di largo scorrimento, complice anche una politica di incoraggiamento per il bike sharing al posto dell’uso della bicicletta personale; in effetti si vedono tantissime bici gialle parcheggiate che vengono noleggiate a prezzi convenientissimi e lasciate dove si vuole, ma non mi sembrano una reale alternativa all’auto sulle lunghe distanze che Bejing comporta.
Anche i risciò sono ormai solo un’attrazione turistica degli hutong, i vicoli della città vecchia, e non sono più i romantici carrellini mossi dalla forza di un uomo che si mette davanti tra due lunghe sbarre e tira, ma sono ormai sostituiti da una bicicletta a pedalata assistita; un giro in risciò però continua ad essere molto divertente! Lo abbiamo provato anche noi per un giro di questo antico quartiere tra gli hutong, in cui le piccole case grigie erano disposte intorno a vasti cortili che costituivano il fulcro della vita di piccole comunità, ma con la Repubblica Popolare lo spazio del cortile fu giudicato un inutile spreco e al suo interno vennero costruite altre case, quando non fu distrutto tutto il complesso. Quelle che visitiamo sono assai piccole e modeste, mentre quelle un po’ più carine sono quasi tutte state trasformate in piccoli hotel o prese dal governo per ospitarvi uffici pubblici civili e militari. Nella zona degli hutong ci fermiamo ad ammirare la piazza dove si fronteggiano ai due lati la torre della campana e la torre del tamburo, che suonando rispettivamente alla mattina e alla sera regolano gli orari di questa fetta di città senza tempo.
Alla sera andiamo al teatro ad assistere all’Opera tradizionale di Pechino. Tutti stranieri…forse i gusti ormai sono cambiati e siamo adesso noi che con la tradizione cinese non c’entriamo nulla ad avere desiderio di quella tradizione che non interessa più i legittimi depositari? L’opera di Pechino, che era caduta in disuso durante la rivoluzione culturale e che quindi non ha appeal sui giovani, non ha tradizione millenaria, nasce nell’800 come una sorta di teatro popolare che ha dei ruoli/macchietta fissi, con il tipico trucco pesante bianco o vivacissimo sul volto, usato come una maschera che fa individuare subito il ruolo del personaggio, ed è un misto di canto, recitazione, arti marziali, danza. I costumi sono ricchissimi ma la scenografia è molto essenziale e bisogna immaginarsi la barca o il cavallo o gli altri elementi che sono sostituiti da assi di legno con cui si mima il gesto di remare o cavalcare e così via. La musica segue una melodia difficile per noi occidentali, ma bisogna insistere nell’ascolto, dopo un po’ risulta gradevole e assonante.
Visitiamo il Tempio dei Lama. E’un tempio ancora “vivo”, perchè vi sono tuttora i monaci, quindi non è solo un monumento. Sembra una piccola città proibita, con cinque cortili successivi, adornati di alberi di cipresso e pino, in fondo a ciascuno dei quali c’è un tempio, coloratissimo; i diversi padiglioni si intrecciano con un’architettura molto mossa, tetti ricurvi, grondaie all’insù, archi colorati, statue d’oro. All’entrata si viene riforniti gratuitamente di un mazzetto di bastoncini di incenso “ecologico”, da bruciare in un grande braciere davanti al tempio senza inquinare ulteriormente l’aria; ancora più ecologici sono i meriti acquisiti girando più e più volte con la mano il tipico cilindro tibetano delle preghiere. Tipicamente cinese è l'”happy Buddha”, la statua grassissima con la panciona in fuori e la tonda facci sorridente, che “porta bene”, fortuna e abbondanza, ben diverso dall’immagine del Buddha ascetico indiano.
Uno dei padiglioni contiene una famosa statua di Buddha, tutta intagliata in un unico pezzo di legno di sandalo ricoperto d’oro e vestita con sete colorate, alta 26 metri.
Nelle vicinanze si trova il tempio di Confucio, molto antico, i suoi padiglioni sono immersi in un bel giardino di alberi secolari che sembra invitare alla meditazione.
All’ingresso è la bianca statua di Confucio, e poi 200 steli con i nomi di tutti coloro che superarono gli esami per diventare funzionari imperiali: doveva essere un esame ben difficile! E siccome la filosofia di Confucio è sempre stata legata all’idea della sapienza, proprio accanto sorge l’antica Università, l’Accademia Imperiale, dove studiavano le più brillanti menti della Cina e dove ancora oggi sono selezionati i migliori studenti di ciascuna provincia.
La guida ci dice che molti tra i migliori studenti sono donne, che mettono una tenacia straordinaria nel loro impegno scolastico, in una società che le vede ancora svantaggiate. Come è il rapporto tra ragazzi e ragazze, chiedo? E’fortemente condizionato dalla politica del figlio unico, che da un lato ha impedito ad una generazione di conoscere il rapporto fratello/sorella (la guida chiama fratello il cugino e chiede cone è avere un vero fratello) e dall’altro ha creato uno squilibrio numerico tra maschi e femmine; spesso in campagna si preferiva il figlio maschio che poteva essere maggiormente d’aiuto nei campi e si ricorreva per questo anche a soluzioni estreme; ora i maschi sono molti di più e faticano a teovare moglie, ma non necessariamente questo è in vantaggio per le donne, che vivono questa situazione nel dubbio che l’interesse maschile verso si loro sia davvero amore. Ora invece non solo è ammesso il secondo figlio, ma da qualche anno si è aperto anche al terzo figlio, nella convinzione che la forza lavoro serve all’espansione economica cinese, solo che nessuno può permettersi tre figli. Le bambine ora vengono referite, perchè “costano di meno”: con il matrimonio è la famiglia di lui che deve provvedere alla casa e a tutte le spese per la nuova coppia.
Altra sera, altro spettacolo, questa volta Kung Fu al Teatro Rosso. Ero rassegnata ad un’esibizione sportiva poco appassionante e mi sono invece trovata di fronte ad una rappresentazione scenica mozzafiato, dove la straordinaria capacità dei maestri di quest’arte marziale viene mostrata all’interno di un racconto che svela anche la filosofia di vita che vi sta dietro e che è molto di più del dominio sul proprio corpo e sul mondo materiale. La rappresentazione comincia con un bambino accompagnato al tempio dalla mamma, da cui non si vuole staccare, perchè venga iniziato da un vecchio maestro alla disciplina del kung fu. Il maestro gli narra la storia antica di un bambino come lui (che si scopre poi essere il maestro da piccolo), delle tappe del cammino che lo portarono ad essere dapprima un novizio, poi un monaco guerriero, infine, dopo aver raggiunto anche la pace del cuore e l’armonia con l’universo diventa maestro, mentre il suo vecchio maestro morendo abbandona il corpo e rinasce ancora bambino per essere guidato egli stesso dal suo antico allievo. La storia incanta, i corpi si muovono tra salti e mosse rocambolesche, combattimenti spettacolari, danze leggere appesi ad un filo o avvolti a un nastro, barre di ferro e pietre spezzate con la forza e la concentrazione.
Non potevo mancare l’appuntamento con l’animale simbolo della Cina, il Panda Gigante! A Bejing non vi sono luoghi in cui poter interagire con panda liberi, o allattare e accarezzare i piccoli, ma allo zoo è stato ricreato l’habitat dei panda e ve ne sono diversi esemplari che possono essere ammirati, sia pure a distanza di sicurezza nei recinti, perchè i panda sono sì erbivori, ma sono anche grandi come orsi e possono mordere. Comunque questo animale dal grande testone bianco con gli occhi neri, che rischiava l’estinzione e che ora è in forte ripresa grazie alla rigorosa campagna di protezione, è sempre un bello spettacolo!
Per finire in bellezza, Panijayuan, il mercato mezzo antiquariato e mezzo chincaglierie più famoso di Bejing. Centinaia di venditori stendono per terra i loro teli tutti pieni di oggetti della più varia natura, dalle ceramiche dipinte alle sculture di pietra, ai vasi di bronzo o di terracotta, alle monete, agli strumenti di lavoro, ai monili, ai libri vecchi, agli esercizi calligrafici. Tutto viene venduto come antico, ma sicuramente il 90%, almeno delle cose più pregiate, è un falso. Bisognerebbe essere molto esperti nel distinguere, e se forse questo è possibile per certi tipi di ceramiche dipinte, difficilmente imitabili, neanche un occhio allenato può comprendere l’autenticità di statuine di terracotta che vengono addirittura create in forni riprodotti come quelli antichi, e su stampi di originali con lo stesso materiale argilloso; solo l’esame della termoluminescenza può dare una certezza, ma certo non si può fare prima dell’acquisto in Cina, tanto più che l’esportazione di antichità è tassativamente proibita, anche se le autorità cinesi sono ben disposte a chiudere un occhio sui pezzi meno pregiati, di cui c’è grande abbondanza. I prezzi sono piuttosto alti e non distinguono tra pezzi veri e falsi, e non sono certo congrui per souvenir moderni, quindi è tutta una scommessa che, sia pure incantata da tante cose belle, non ho voluto fare. Ma una cosa imperdibile l’ho scovata anche io: sfogliando in una bancarella una copia molto vissuta del famoso Libretto Rosso di Mao, ho trovato un’illustrazione del Presidente insieme a qualche altro leader comunista, sulla cui faccia era stata diligentemente disegnata a penna una X dopo l’epurazione! Ecco, questo mi sembra il miglior souvenir possibile di Bejing!
Sono stata diverse volte a Pechino, ma non ho mai avuto occasione di vedere una famosa opera.. chissà che emozione! Dev’essere davvero bello!
Il tempio del Cielo è molto bello, ma il Tempio di Confucio mi è forse piaciuto di più per l’atmosfera di spiritualità che regnava…