Fa caldo vero qui, in questo deserto sul Golfo Persico che sembra uscito da una cartolina, con le sue dune rosse di sabbia finissima che si alza ad offuscare di una legegra patina lo skyline di Dubai, mutevole distesa che pullula di una sua vita nascosta e discreta, affascinante ed aliena come la superficie lunare. E in mezzo al deserto ecco spuntare in una manciata di anni una metropoli dagli scintillanti grattacieli, giochi di luci e d’acqua, grandi alberghi, vetrine che ostentano un lusso sfrenato, parchi a tema, divertimenti per grandi e piccini come un grande luna park, e se lo spazio manca si creano persino 120 km di isole artificiali, e se mancano le montagne si fa nevicare e si scia nei grattacieli . Allora, mi viene da pensare, forse un giorno la luna sarà così, spunteranno dai bianchi crateri serre di cristallo con dentro grattecieli e nevicate artificiali come una palla di vetro da souvenir, si vivrà in modo naturale questa innaturale trasformazione della natura, perchè in fondo è proprio della natura dell’uomo immaginare l’impossibile e realizzarlo.
Il fascino e l’unicità di Dubai stanno proprio in questo contrasto di pieno, esageratamente pieno su vuoto, esageratamente vuoto. Per questo ho voluto iniziare il mio viaggio dal deserto, dove ho trascorso una giornata e una notte, nella speranza di incontrare il vuoto, guardare le stelle luccicanti da questa specie di luna rossa, ma il vuoto è ormai merce rara anche qui, tra inquinamento acustico e luminoso e ahimè è destino che in tutti i miei viaggi nei deserti trovi sempre la luna piena. Man mano che raggiungiamo la periferia di Dubai, il paesaggio si riemprie di gru, ruspe, scavatrici, un enorme cantiere circonda la città ancora in costruzione, che sembra essere progettata per espandersi indefinitamente e inghiottire il deserto per non farsi inghiottire da esso. Poi pian piano inizia a prevalere la sabbia, fino a che col fuoristrada, che ha qualche annetto e funziona meglio nel deserto nei nuovi modelli tutti elettronica fatti per la città e non per il lavoro, lasciamo l’asfalto e ci inoltriamo tra le dune, sempre più irregolari, alte e affascinanti. Ci avvolgiamo la testa in una kefiah, che ci protegge dal sole e dalla polvere, e che viene indossata con foggia diversa da uomini e donne. L’autista esperto, con una musica araba di sottofondo, si lancia su e giù per una corsa mozzafiato tra i pendii, la macchina si inclina paurosamente in avanti e dietro, ma soprattutto di lato, ma non ha un momento di esitazione; il dune bashing è emozionante e molto divertente, persino per Giulia, ormai 4 anni fra una settimana, che ride felice stretta tra me e il papà. Ci fermiamo ad ammirare il tramonto sulla cima di una delle dune più alte, contemplando la distesa rossa tra cui scorrazzano troppi quad e su cui qualche bastardo ha persino lasciato una bottiglietta di plastica. Sulla sabbia si può fare proprio tutto, rotolarsi giù, scivolare, anche sciare con la tavola.
C’è il momento per un incontro ravvicinato speciale: un beduino mi permette di tenere sul braccio il suo falcone, con il cappuccetto sugli occhi perchè non aggredisca con quel suo becco aguzzo. E’ un uccello bellissimo, fiero e nobile, che tanto fu amato da Federico II che ne apprese l’arte venatoria proprio dal mondo arabo, ogetto di lunga tradizione e anche status symbol, se è vero che un esemplare può costare dai 100.000 euro in su; il falcone è divenuto il simbolo degli Emirati Arabi Uniti, ha il privilegio di poter viaggiare in aereo in cabina col suo padrone, ed esiste anche un ospedale dedicato allo studio e cura di questi rapaci, e un albergo solo per loro. Oggi raramente i falconi vengono utilizzati per la caccia, che è vietata negli UAE ma non nel confinante Oman, ma vengono ugualmente tenuti come fieri compagni.
Con le ombre della sera arriviamo al nostro accampamento, davanti al quale sostano i cammelli, e non ci si può sottrarre ad una turistica cammellata che è in realtà un breve giro dell’asino ma è sempre divertente. Se si è turisti non ci si può spacciare per qualcos’altro con la puzza sotto il naso! Solo la cosa che mi fa riflettere è che diversi dei turisti cche salgono sui cammelli sono arabi, tanto è ormai lo stacco con quella che era fino a qualche decennio fa’ la vita di questi popoli.
Nell’accampamento, seduti sui resistenti cuscini beduini tra la sabbia consumiamo un tipico pasto locale: insalate con cetrioli e feta, humus (purea di ceci), baba ghanouj (purea di melanzane) da accompagnare ad un cald, morbido pane arabo, kebab di pecora e pollo, con quel po’ di piccante che disinfetta, dolcetti di frutta secca e miele, the alla menta e dolcissimi datteri che provengono dall’ oasi di Al Ain. Intanto assistiamo a tre rappresentazioni danzanti: oltre ad una scolpita ballerina di sensuale danza del ventre, si esibisce anche un uomo tanto dal viso brutto quanto dal fisico perfetto, in uno spettacolo di danza del fuoco e di danza roteante che è una versione “laica” della danza sacra dei dervisci sufi. Dopo cena a ognuno il suo, mio marito spippetta Shisha, emettendo anelli di fumo profumati alla mela, mentre io e Giulia con complicità ci facciamo dipingere di hennè una mano da un’anziana signora vestita di nero che in pochi secondi realizza un delicato gioco di fiori che come quelli veri resisteranno una settimana prima di appassire.
Mentre un gatto magrolino mangia gli avanzi della cena e si sdraia a guardare la luna sognando di acchiappare uccelli più grandi di lui e i beduini sistemano il campo per la notte ripiegando stoffe e cuscini per evitare che la sabbia rovini tutto, gli altri turisti se ne vanno, e restiamo solo noi che abbiamo chiesto di poter dormire in tenda, il che è molto romantico, ma se non lo fa nessuno un motivo ci sarà pure. Finita l’eccitazione di Giulia per l’effetto capanna e la nostra per l’esclusività della situazione, inizia una notte insonne in scomodissimo assetto, probabilmente sulla rotta di atterraggio degli aerei che si susseguono rumorosissimi a intervalli di 10 minuti, e intorno alle 3 proprio mentre penso alle false dicerie sugli sbalzi di temperatura nel deserto, cala un freddo polare. Poi però, provvidenziale prevale il sonno. All’alba usciamo dalla tenda, in tempo per vedere il gatto magro soddisfatto che corre con una qualche piccola preda in bocca, e ritorniamo verso la città scintillante.
Mi piacciono i grattacieli di Dubai, sono più mossi, originali e arditi rispetto a quelli americani. Riprendono le forme dell’architettura islamica, si avvitano su se stessi, o giocano a rinviarsi linee curve. Su tutti spicca il Burj Khalifa, il più alto edificio al mondo con i suoi 828 metri, un vero capolavoro di ingegneria che è anche molto bello; si può saliere su fino al 124mo piano per l’osservatorio “on the top” o addirittura al 148mo per la piattaforma mozzafiato “on the top sky”, anche se il biglietto è un salasso ne vale la pena. Ma lo spettacolo è anche ai piedi del Burj Khalifa, nel laghetto artificiale che si stende tra il grattacielo e il grande centro commerciale Dubai Mall: alla sera, ogni mezz’ora dalle acque sorgono stupefacienti giochi d’acqua e di luce, al ritmo di danze arabe diffuse dagli altoparlanti; l’acqua si alza e spumeggia in sinuosi getti che sembrano danzare, scoppietta in idrici fuochi d’artificio che si innalzano al cielo componendo mobili figure, e si rimane a bocca aperta ad ammirare non solo l’aspetto artistico ma anche la bravura tecnica che permette un simile risultato.
Già che siamo sul posto, passiamo il resto della serata nel Dubai Mall, ad osservare la gente ed i negozi. Gli abitanti di Dubai sono una grande varietà umana, un potpourri di razze e di tradizioni diverse, sospesi tra tradizione e modernità, in un clima di grande tolleranza e pacifica convivenza, di cui gli emiri si fregiano con giusto orgoglio. Il costume tradizionale emiratino si affianca all’eleganza raffinata di abiti femminili di gran classe, e ad abbigliamenti ben poco islamici di parte dei giovani; il costume emiratino ha però nella sua semplicità un’indiscutibile eleganza, soprattutto quando le coppie camminano insieme: per gli uomini la kandora, candida veste lunga fino ai piedi e il ghutra, copricapo bianco tenuto da un cerchio nero (che un tempo serviva a legare le zampe dei cammelli e ora ha solo funzione ornamentale) e per le donne l’habaya, leggero abito nero portato in genere sopra abiti occidentali. Nel privato le donne sfoggiano vesti colorate e ricchissime, abbellite da gioielli d’oro, anche se certamente non come l’abbigliamento kitchissimo da mille e una notte sfoggiato da me e da Giulia in posa per foto ricordo nel Dubai Mall.
Il Dubai Mall ospita anche il grande acquario di Dubai, un’esperienza assolutamente da fare; si passa attraverso un tunnel di vetro sotto una vasca alta quanto tutto il Mall in cui nuotano pesci multicolori, squali, tartarughe marine, cavallucci e stelle marine, un vero spettacolo che può essere visto ancora più dal di dentro attraverso una barca dal fondo trasparente che permette anche di nutrire i pesci e addirittura attraverso esperienze subacquee di vario tipo come l’immersione in gabbia tra gli squali. C’è anche un coccodrillo di 4 metri che fa davvero impressione, e un interessante piccolo zoo degli animali del deserto. Il mare a Dubai fa da contraltare al deserto, ed offre oltre al relax su spiagge di sabbia bianchissima, escursioni su imbarcazioni di vario tipo, esperienze di snorkeling e diving, anche giornate di puro divertimento in alcuni parchi acquatici, tra cui si distingue per bellezza e dimensioni quello dell’Atlantis. Qui, tra scivoli acquatici tra i più adrenalinici del mondo ed altri a misura di bimbi, è possibile lasciarsi trasportare mollemente dalla corrente di canali che percorrono il parco a bordo di grandi ciambelloni di gomma, e soprattutto è possibile incontrare da vicino quei meravigliosi, dolci e intelligenti animali che sono i delfini. Così io e Giulia, in acque basse abbiamo potuto baciare, accarezzare, abbracciare Aladin, un giovane vivace delfino, e persino giocare a palla e accennare a qualche passo di danza con lui, mentre mio marito in acque alte ha nuotato trascinato da due delfini.
Dalle spiagge dell’Atlantis vediamo in lontanaza l’isolotto con l’alto profilo della vela del Burj Al Arab, oltre 300 metri di altezza per questo inconfondibile hotel con eliporto, ristorante sottomarino e bar dove si può ordinare un caffè con spolveratina d’oro (chissà che gusto ha!): “scusi un caffè ristretto in tazza doppia con acqua calda a parte, zucchero di canna e una spolveratina d’oro, per favore”. Del resto tutte le rive della Marina, su cui si affacciano i più ricercati hotel, trasudano sfarzo estremo. Nellla vetrina di un negozio troneggia una console di playstation tutta d’oro zecchino, giusto per non sentirsi eccessivamente omologati anche negli svaghi.
Dopo tanto lusso e modernità ho desiderio di tradizione, se non di solenni monumenti antichi almeno di cose vecchie, di vicoli e casette, di odore di mercato: il quartiere storico di Al Bastakiya offre uno sguardo su come era la città prima di diventare ciò che è oggi: qui rimangono ancora le antiche case dei commercianti con la Persia, costruite con sabbia e corallo, le torri del vento (certo meno imponenti di quelle iraniane) che fungevano da primo sistema di condizionamento in una città che d’estate tocca i 50 gradi costringendo tutt’oggi ad una vita quanto più possibile al chiuso in quei mesi. Qui sorge il Forte Al Fahidi con all’interno il Museo di Dubai e l’Heritage Village: Nonostante abbia alcuni pezzi archeologici interessanti, come una tomba di 2500 anni prima di Cristo ritrovata con due scheletri abbracciati e diverse supellettili, il patrimonio culturale conservato è piuttosto di tipo intangibile, rappresentato attraverso ricostruzioni plastiche di antichi mestieri e tradizioni, ed in questo senso è molto interessante per mantenere vivo il ricordo di un’epoca ormai sparita. Ci sono i pescatori di perle, le vecchie imbarcazioni di legno, le scuole coraniche con i maestri con i maestri con bacchetta e gli alunni seduti sul pavimento, le donne che tessono, i fabbri, gli orafi e gli speziali, la vita del deserto, le oasi con i datteri, il rito del caffè nei soggiorni di comodi cuscini e tappeti,
Forse non tutto è sparito, basta prendere un tradizionale dhow di legno e attraversare il canale che taglia la città, il Dubai Creek, per fermarsi nei diversi souk che ancora sopravvivono ai grandi centri commerciali. La prima tappa è il souk delle spezie, una piccola area coperta da portici di legno, tutta botteghe che vendono spezie e frutta secca dal medio oriente e da tutta l’asia; scopro che buona parte dei venditori è iraniana, grande stirpe di mercanti da sempre. Insieme alle polveri aromatiche di ogni tipo, al prezioso zafferano, ai pistacchi e ai datteri, alle leccornie dolci, essenze e profumi venduti in affascinanti bottigliette di vetro e ricami dorati, troviamo cose più particolari come l’indaco per la tintura delle stoffe o l’allume per bloccare le piccole emorragie da rasoio. La contrattazione, come in tutto il mondo arabo, è d’obbligo, si chiede il prezzo, se ne fà un altro, si scuote la testa e si fa finta di andare via, si viene richiamati e alla fine se ne esce con un prezzo sempre troppo alto rispetto al valore dell’acquisto, ma convinti di aver fatto un affare. Inutile dire che ne usciamo carichi di cosine buone e belle. Giulia adocchia una fascia di stoffa rossa con medagliette dorate pendenti, da danza del ventre, e un cappellino nuziale di perline, e tocca assolutamente comprarli, non se ne staccherà più per tutto il giorno, per la gioia delle foto degli altri turisti.
La tappa successiva è il souk dell’oro, che è in realtà una concentrazione di gioiellerie in una strada, con vetrine scintillanti per lo più di gioielli improponibili, quali i massicci pettorali di filigrana d’oro e pietre preziose, vere e proprie corazze da sfoggiare nell’intimità di casa,visto che l’abbigliamento pubblico delle donne è improntato alla modestia; probabilmente l’abitudine a passare molto tempo in compagnia di sole altre donne, potenziali rivali, sviluppa il desiderio di ribadire la propria posizione di preminenza attraverso l’ostentazione di ricchezza. I prezzi dell’oro però sono fra i più bassi del mondo, e a scegliere bene ci sono anche pezzi molto raffinati, specie le lavorazioni in filigrana e le gemme preziose.
Ai palazzi pubblici non si possono scattare foto, ma del resto c’è poco da fotografare perchè sono chiusi dietro alti muretti. Però si può fotografare la residenza dell’Emiro di Dubai, sormontata da un carro con vittoria alata stile porta di Brandemburgo, e preceduta da un giardino di bosso tra cui scorrazzano un po’ spennacchiati pavoni.
Dubai è estrema, e non voglio sottrarmi al paradosso. A 34 gradi, 40 percepiti per l’umidità, vado a recuperare il pile: nel cuore del mall of Emirates sono custoditi oltre 22.000 mq di superfici innevate, tra piste da sci di diversa difficoltà, grotte di neve dove giocare a pallettoni, piste per lo slittino o per lanciarsi col canotto, e persino una vera colonia di pinguini. Ti danno tutto loro, tranne il cappello. Qui si scontrano diverse filosofie: mio marito rifiuta di andare a fare una cosa così innaturale come sciare nel deserto quando veniamo dal paese delle Alpi (che se va bene vediamo una settimana all’anno). Invece io la trovo una cosa unica al mondo e quindi a suo modo caratteristica, oltre che divertente, e se non si va in vacanza per divertirsi…
La sera è dedicata ad un’altra attrazione unica: il Glow Garden, un grande parco tutto zeppo di sculture luminose che riproducono il mare e i suoi abitanti, i prati con i fiori e gli alberi, le ambientazioni e i personaggi delle favole famose come Alice nel Paese delle Meraviglie, Cenerentola, la Sirenetta; uno spettacolo pazzesco per gli occhi di grandi e piccini, che solo un Paese senza problemi di energia elettrica poteca mettere su. A fianco, più scontato, il parco dei dinosauri, con sculture animate e grandezza naturale. Usciti dal parco ci facciamo una passeggiata su una lunga pista da jogging tutta in gomma su cui ci si sente proprio leggeri, contornata da macchinari da palestra a disposizione della popolazione. Proprio come in Italia.
E’ finito il tempo dedicato a questo grande luna park che è Dubai, e come in tutti i luna park me ne vado con la sensazione che il tempo non basti e le cose da fare sarebbero ancora tante, tra parchi a tema, sport più o meno estremi, spiaggie e barche a vela, hammam e spa, Ma il viaggio continua: domani si parte per Al Ain, l’oasi verde degli Emirati nel cuore del deserto, con il suo castello di sabbia che ha ospitato il palazzo dell’Emiro che è stato il padre della moderna nazione, e poi per Abu Dhabi, la capitale politica e amministrativa dell’UAE, che sicuramente sapranno regalarmi nuove emozioni.