La nave scivola sulle placide acque del Nilo e alle prime luci dell’alba attracca ad Edfu, dove si affollano tante imbarcazioni da crociera che ormeggiano in sequenza, così che per arrivare a terra occorre passare attraverso tante altre navi.
La giornata è intensa e quindi non c’è neanche tempo di fare colazione completa, rinviata al ritorno; meglio sfruttare le prime ore della mattina per cogliere il meglio dalla visita di Edfu, senza la folla che durante il giorno invade il tempio di Horus.
Sulla riva del Nilo ci aspetta una sorpresa: una lunghissima fila di colorate carrozze trainate da un cavallo, che aspettano i turisti per portarli fino al tempio di Horus, attraversando una città ancora insonnolita ma già piena di vita.
I guidatori si litigano veementemente i clienti e una volta caricati i turisti sulle carrozze si lanciano in una folle corsa – persino al galoppo, poveri cavalli! – attraverso le vie della città, per arrivare primi e riuscire a tornare indietro e caricare nuovi crocieristi. Sono poche le macchine che si incontrano, ad Edfu le carrozze sono i mezzi di trasporto principali, e sembrano altrettanto pericolosi che quelli a motore.
Sui bordi delle strade, in parte sterrate e in parte asfaltate alla buona, si stanno montando i banchi del mercato, e si vede che alcuni venditori sono giunti all’aurora dalla campagna per recuperare i posti migliori, o addirittura hanno dormito per strada per esporre le loro spesso povere merci. Edfu è una città rurale, non certo ricca nonostante il turismo.
La corsa è divertente ma arriviamo con un certo sollievo sani e salvi al tempio di Horus, il cui piazzale è completamente riempito dalle carrozze, e i vetturini anche qui appaiono piuttosto energici nelle discussioni coi colleghi.
Il tempio di Horus ad Edfu è il secondo per grandezza dopo Karnak e come questo è davvero imponente e genera una forte impressione a prima vista.
Il tempio è completamente di epoca ellenistica. Forse i sacerdoti ebbero paura che i Tolomei, visti dagli egiziani come conquistatori stranieri (ed in effetti erano greci discendenti del generale di Alessandro Magno, Tolomeo), volessero cancellare la millenaria religione egizia per sostituirla con i culti greci; per questo i sacerdoti egizi scrissero meticolosamente come indelebile testimonianza sui muri del tempio di Horus tutti i rituali, le cerimonie e i sacrifici che dovevano essere compiuti nei templi.
Edfu deriva da “Ed”, vendetta, ed il suo nome si riferisce alla storia di Iside, Osiride, e Seth. Gli antichi egizi credevano che in origine il mondo fosse solo l’Oceano Eterno, finchè sulla superficie dell’acqua apparve un piccolo pezzo di terra e qui Atum si generò da sè e creò i primi dei: Tefnut, l’umidità e Shu, l’aria. A loro volta Tefnut e Shu generarono Geb, la terra e Nut, il cielo. Geb e Nut generarono quattro figli: Iside, Osiride, Neftis e Seth. Iside sposò Osiride e Seth sposò Neftis.
Secondo la mitologia, Osiride fu il primo re de mondo, ed era buono e amorevole con il suo popolo, mentre Seth era cattivo ed invidioso; Seth organizò una festa e portò un bel sarcofago e invitò per gioco Osiride a provarlo, ma appena entrato lo chiuse e lo gettò nell’acqua del Nilo. Il sarcofago galleggiò sull’acqua fino ad arrivare in Libano; quando Iside venne a sapere quanto era accaduto, attraverso la magia si trasformò in uccello e volò sino a trovare il sarcofago con Osiride ancora vivo, ma tutto verde, con le gambe unite e le braccia incrociate sul petto (da quel momento tutti i morti venivano composti nella stessa forma e rappresentati in verde).
Iside e Osiride andarono a vivere sul delta del Nilo, ma Seth tramava sempre contro di loro: Seth trovò Osiride e lo tagliò in 14 pezzi, disperdendoli per tutto l’Egitto. Di nuovo Iside trasformata in uccello andò in cerca dei pezzi per ricomporre il corpo, ma ne trovò solo 13, mancando la parte responsabile della fertilità. Per compensare il pezzo mancante prese il limo del Nilo e ricostruì il membro, e così restò incinta e partorì il figlio Horus.
Seth aveva compreso che Horus sarebbe stato l’erede di Osiride e voleva ucciderlo; Iside tormò a vivere a Tebe ma lasciò Horus piccolo nella palude del delta del Nilo con la dea Haptur, la dea della musica e della natalità, che lo allattò e lo fece crescere.
Una volta cresciuto Horus cercò la sua vendetta su Seth. I due dei combatterono da nord sino ad Edfu e qui Horus ebbe la vittoria. Per questo la città prende il nome di vendetta. Questa storia è compiutamente rappresentata nel tempio di Horus, con le varie province d’Egitto in cui furono disseminati i pezzi di Osiride, con la lotta contro l’ippopotamo nel Nilo (animale che rappresentava Seth) e la sua sconfitta da parte di Horus.
Ad Edfu è rappresentata anche un’altra leggenda legata ad Horus e a Ra. Noi vediamo sempre il dio Ra come disco solare alato. Un tempo il dio Ra era solo il disco solare, ma quando Ra invecchiò i suoi nemici iniziavano a deriderlo. Così lui mandò Horus a disciplinare tutti i nemici, e Horus riuscì a vincere e tutti gli dei riconobbero il valore di Ra regalarono a Ra queste ali per volare sul mondo e proteggerlo.
Ad Edfu anticamente c’era una festa importante, ad inizio dell’anno lunare, per comprendere la quale bisogna entrare nelle complicazioni spesso incoerenti della mitologia egizia. Infatti noi abbiamo due Horus, Horus piccolo allattato da Haptur. e Horus grande che aveva Haptur come moglie. Il tempio di haptur era a Dandara, a 100 km circa da Edfu. Ogni anno da Dandara arrivava ad Edfu ul Nilo la barca con la dea Haptur per restare nel santuario di Horus per 15 giorni. Durante questa festa tanti egizi venivano qua per sposarsi o fidanzarsi. I templi non erano costruiti solo per il culto, ma anche per tanti eventi della vita, e qui si celebravano e festeggiavano le nozze.
Come a Luxor e a Karnak, anche nel tempio di Horus ad Edfu vediamo la cinta muraria, alta circa 10 metri, che circonda il tempio per proteggerlo dalla piena del Nilo.
Anche qui il tempio giaceva sotto la sabbia che lo aveva conservato in ottimo stato, e fu portato alla luce nel 1860 da Auguste Mariette, il quale portò la barca originale di Horus trovata nel sancta sanctorum al Louvre di Parigi, ma ebbe il gesto cortese di lasciare qui una replica; del resto era un’epoca in cui chi trovava reperti archeologici, sia che fossero spedizioni ufficiali sia che fossero avventurieri e archeologi che lavoravano in proprio, potevano portare via tutto.
Horus era rappresentato in vesti zoomorfe da un falco, e ogni anno nel tempio si svolgeva il rito dell’incoronazione di un falco vivo allevato dai sacerdoti, liberato nello spazio tra le due torri, chiamato “la casa della trasfigurazione” e fatto volare sul mondo durante la festa; la bellissima statua del dio-falco incoronato, dallo sguardo fiero ed imperturbabile nei millenni, si può ammirare ancora oggi nel tempio, di cui è il reperto più antico. Le feritorie sulle pareti facevano entrare in maniera tenue la luce del sole in apposite camere dove il falco veniva adornato di gioielli e vestiti.
Il pilone esterno del tempio di Horus fu costruito da Tolomeo XII il Pifferaio, il padre di Cleopatra VII (la Cleopatra famosa), e lascia stupiti per la sua imponenza: 67 metri di larghezza e 34 metri di altezza, con una proporzione di 1 a 2, molto armonica. Del resto, considerando tutto il tempio, il rapporto tra larghezza (m. 48) e lunghezza (m. 78) è 1,618, il numero aureo. Niente era stato lasciato al caso.
Tolomeo XII sul pilone è rappresentato nell’atto di portare alle divinità il mais, simbolo di giustizia, insieme ad una complicata sequenza di dei. Tolomeo è anche rappresentato mentre offre una collana, simbolo di gioia.
Nel registro inferiore Tolomeo tiene per la testa i nemici sconfitti. In realtà nessuno dei Tolomei arrivò fin qui, perchè governavano l’Egitto dal nord, da Alessandria, ma da qui arrivava la legittimazione religiosa, e per questo i Tolomei mandavano grandi quantità di soldi e di manodopera per arricchire i templi dell’alto Egitto e pagavano i sacerdoti, perchè il popolo era tenuto attraverso la religione.
Nell’architettura tolemaica c’è sempre simmetria, e quindi i due lati dell’entrata sono speculari, tranne il dettaglio della corona sulla testa di Tolomeo: quella dell’alto Egitto è rappresentata verso sud, quella del basso Egitto verso nord.
Dopo il primo pilone si estende un grandissimo cortile colonnato, dove sostavano i fedeli. Osservo le colonne, con i capitelli che sono ornati da foglie di loto e papiro, e mi rendo conto che sono ormai simili alle colonne greche, poichè lo stile ellenistico ha influenzato tutta l’architettura del tempio.
Dal grande cortile porticato si entra nella parte chiusa, dove continuano le colonne ma sono sormontate da architravi e da un tetto. Le stanze esterne sono le più luminose, poi piano piano lo spazio si fa più stretto e buio, fino alla completa oscurità del sancta santorum, dove si celebrava il racolto mistero del dio a cui solo il sacerdote poteva prendere parte.
All’esterno e nelle stanze dove c’è più luce la decorazione è in bassorilievo, mentre nelle stanze più scure vi sono altorilievi, che sono più distinguibili dalla parete su cui si stagliano.
Fra i rilievi nel tempio che mi hanno colpito ci cono quelli che rappresentano nelle zone più scure divinità armate di coltello o spada per difendersi dal buio, una delle grandi paure degli antichi egizi.
Inoltre c’è un curioso precursore della rappresentazione che Dante fa della pena dei dannati: i peccatori sono legati con le mani dietro la schiena e buttati in un lago di fuoco, mentre una guardia infernale li spinge con le lance. E’ una rappresentazione non usuale che si trova solo in questo tempio.
Ho trovato molto bella e anche tenera la rappresentazione dell’abbraccio tra il dio Horus ed il faraone, che viene avvolto con una mano sulla spalla e accompagnato con dolcezza dal dio.
Una curiosità del tempio di Horus è una stanza, che era un laboratorio dove si preparavano le essenze da offrire agli dei, sulle cui pareti si trovano 150 ricette di profumi, che sono stati decodificate e riprodotte, e si è verificato che i metodi di produzione e gl ingredienti sono molto simili a quelli degli attuali profumi francesi.
C’era nel tempio una stanza chiamata “camera trasversale”, in cui venivano immagazzinate le offerte alimentari da portare nel sancta sanctorum, e ciò che avanzava, in onore del dio Horus la cui impersonificazione era un falco, veniva portata attraverso delle scale sul tetto per nutrire gli uccelli. La scala di destra per salire è a spirale, come il volo del falco quando si innalza al cielo, la scala a sinistra per scendere ha forma dritta come la picchiata del falco a terra.
Ed eccoci al sancta santorum perfettamente conservato, buio ma che genera intensa emozione, col basamento dell’altare e la riproduzione della barca di Horus e le mure tutte fittamente istoriate di rilievi e scritte sacre, tra cui si sono celebrati nei secoli tanti riti in onore del dio.
Una nuova corsa in carrozza mi riporta alla nave, passando ancora per le vie cittadine, che ora vedono il mercato alle sue ultime battute. La nave attraversa ora una zona molto bella, caratterizzata da verdi isolotti.
Passa ad un certo punto sotto un grande ponte in costruzione, un cui lastrone di cemento armato oscilla pericolosamente sulle nostre teste per essere portato a dimora, alla faccia delle norme di sicurezza, e infine attracca nel pomeriggio a Kom Ombo, dove ci aspetta la visita dell’emozionante tempio di Sobek, il dio coccodrillo.