LONTANI DA TUTTO
Rapa Nui, come la chiamato i nativi, o l’ Isola di Pasqua, come fu rinominata dagli spagnoli, è lontana da tutto, un puntino perso nel blu dell’oceano pacifico, politicamente appartenente al Cile ma di fatto un mondo a sè, distante 3600 km e cinque ore di volo dal continente. Forse questo è il suo fascino e la sua salvezza: fosse stata più accessibile sarebbe stata invasa, devastata, ridotta a meta vacanziera mordi e fuggi per yankee in cerca di shopping del mistero.
Invece Rapa Nui bisogna proprio desiderarla come meta mitica da sogno una-volta-nella-vita, e programmare il viaggio con molto anticipo, perchè giustamente, per preservare l’unicità del luogo, oltre alla naturale difficoltà di accesso si è aggiunto il numero chiuso e una limitazione di permanenza massima.
Un solo volo collega Rapa Nui a Santiago del Cile e un altro alla Polinesia, la terra (relativamente) più vicina. Qualcuno dei locali proponeva addirittura il completo bando dei voli per restituire alla terra la sua originaria verginitá, ma certo questa idea cozza contro il dato di fatto che sull’Isola di Pasqua il turismo è una grande risorsa, ed essendo un turismo molto regolamentato, è una bella risorsa non impattante in maniera irrispettosa e invadente sulla cultura del luogo.
Insomma, niente Mac Donald o Zara qui, il massimo del kitch turistico sono le collane di fiori offerte dagli hotel che mandano a raccogliere gli ospiti al piccolo aeroporto di Hanga Roa, unico piccolo villaggio dell’isola. E, sapete, io adoro un tocco di kitch!
Per accedere al parco nazionale dell’Isola di Pasqua, che comprende tutti i luoghi interessanti dell’Isola, si paga (comprandolo in aeroporto) un biglietto valido dieci giorni, abbastanza caro, ma mi sembra giusto. Quello che invece le mie guide native contestano fortemente, è che la struttura centralizzata del governo Cileno gestisca le risorse per la preservazione dell’identità culturale di Rapa Nui, insieme a quelle per le altre aree protette del Paese, e le allochi senza tenere conto delle istanze locali. Nessuno a Rapa Nui si sente davvero cileno, l’identità culturale locale è fortissima ed è l’unica appartenenza, possiamo dire che i nativi di Rapa Nui si considerano fratelli con i polinesiani e lontani cugini con gli indigeni australiani.
E come non potrebbe essere così? La cultura di Rapa Nui è davvero unica al mondo, perchè generazione dopo generazione è stata creata senza modelli di riferimento, senza scambi con altre civiltà.
DARE FORMA AGLI SPIRITI PER SENTIRSI MENO SOLI
Chissà che cosa si deve provare a vivere in un’isola nel mezzo dell’oceano, senza nessun contatto con il mondo esterno, pensando di essere gli unici uomini al mondo, sopravvissuti in salvo ad una qualche catastrofe nella”grande isola” (questo è il significato di Rapa Nui, ma le misure sono 24 x 13 km), o magari posti lì da qualche divinità nel piccolo lembo di paradiso in mezzo alle acque, ombelico dell’universo.
Il mare pescoso è fonte di vita ma è anche terribile, chi vi si avventura per troppe miglia non riesce più a tornare in quel puntino nel blu, scompare perso nel nulla. Le nascite, le vite, le morti, si susseguono senza storia, i nomi dei grandi capi che non hanno potuto conquistare nulla vengono inghiottiti dal tempo.
Forse ci si deve sentire terribilmente soli. Si ha bisogno di credere in un universo più grande e popolato, fatto di spiriti delle antiche guide della comunità, di spiriti che vivono in quel mare così misterioso, in quel cielo stellato di incomparabile bellezza. Gli spiriti devono essere chiamati a fare compagnia agli uomini, ad abitare l’isola, ad esserne presenze tangibili, devono essere qualcosa di imponente per proteggere la piccola Rapa Nui da forze della natura tanto più grandi.
Ad un certo punto qualcuno rende concreto questo pensiero nella forma in cui l’uomo è capace di avvicinarsi naturalmente al mondo dello spirito: attraverso la creazione artistica. Poco prima che qui Dante richiamasse Virgilio a fargli da guida nel viaggio nel mondo delle anime, dall’altra parte del mondo qualcuno scolpiva il primo grande Moai in cui richiamava dal mare lo spirito di un grande capo defunto e lo poneva per sempre lì, col volto rivolto verso l’interno dell’isola, presenza amica e potente. E poi un altro, e un altro ancora,oltre 1000 giganti di pietra, per 5 secoli gli spiriti hanno continuato ad essere invitati a condividere la vita quotidiana degli abitanti di Rapa Nui, che scorreva serena e prospera.
La storia dei Moai è un mistero, uno dei tanti affascinanti misteri irrisolti di questa piccola isola, e le interpretazioni del loro significato sono state molteplici. L’ultima, molto pragmatica teoria di alcuni studiosi americani, annunciata proprio in questi giorni, è che i moai segnalassero i luoghi dove scorrevano le riserve di acqua dolce dell’Isola. A me piace pensare, come pensano i nativi, a cui è stato tramandato oralmente dai loro padri e dai padri dei loro padri, che il significato sia invece fortemente spirituale, di un legame ed un’alleanza universale tra gli spiriti che popolano l’universo e gli uomini.
IL PARADISO TERRESTRE
Rapa Nui è un’isola nata dall’emersione di un vulcano dal profondo del mare. Per questo, ad eccezione di una, non ha spiagge ma scogliere spesso a picco sull’oceano che al di là del reef raggiunge subito profondità da capogiro.
Quando l’isola fu colonizzata dai polinesiani, intorno al 900-1000, agli uomini appena sbarcati doveva presentarsi come un paradiso: era completamente ricoperta da lussureggianti foreste di palme, con buone riserve d’acqua dolce e uno splendido clima. Si poteva vivere di pesca e dei frutti della natura, c’erano materie prime in abbondanza per la costruzione dei villaggi, per l’accensione dei focolari.
La comunità si insediò e crebbe fino ad arrivare a 20.000 abitanti, probabilmente si divise in più tribù: gli abitanti del villaggio di Hanga Roa, dominanti, e quelli degli altipiani. Iniziarono a costruire i moai.
RANO RARAKU: LA FABBRICA DEI MOAI
I Moai sono la principale attrazione di questa piccola isola. Per averne un quadro abbastanza completo ci vogliono 3 giorni, per questo penso che la permanenza minima ideale sull’Isola di Pasqua sia di quattro giorni, come ho scelto io.
Non si sa esattamente quanti fossero i moai, perchè molti sono così rovinati da essere irriconoscibilmente confusi con la roccia vulcanica, ma una grande opera di recupero è stata fatta ed è in corso a tutt’oggi.
Sono disseminati su tutto il territorio, ma provengono da un unico luogo, la cava di Rano Raraku. Lo sappiamo perchè in tutta l’isola non esiste altro posto da cui ricavare la particolare roccia vulcanica di cui sono fatti i moai.
Il mio primo approccio con i Moai è proprio a Rana Raraku. Salgo sul dorso dell’altura di roccia vulcanica dove si vedono le cave da cui furono estratti i grandi blocchi di pietra, tonnellate su tonnellate. Lungo il declivio ci sono molti moai che ci fanno comprendere meglio le fasi della costruzione. Gli scultori di Moai erano ciascuno specializzato in un qualche dettaglio anatomico ed erano molto ben pagati dalle famiglie che commissionavano l’effige del loro antenato defunto. Il volto ed il lato anteriore veniva scolpito in orizzontale, poi il Moai veniva raddrizzato e conficcato in un buco scavato a terra per garantirne la stabilitá. Qui venivano scolpiti i dettagli laterali e il retro.
Poi iniziava la fase del trasporto da qui alle varie altre parti dell’isola. E qui ecco un altro grande mistero: come facevano a trasportare quel peso per lunghe distanze senza spaccare i grandi blocchi di pietra? Una teoria è che venissero usati come rulli i tronchi di palma, tanto da disboscare col tempo tutta l’isola, ma la nostra guida indigena non crede a questa teoria. Suo nonno gli diceva sempre che è semplice, i moai hanno camminato, ed una danza popolare riproduce il movimento dondolante dei moai. Non prendiamo mai alla leggera la tradizione orale, nasconde sempre una qualche verità. E difatti oggi un’accreditata teoria sostiene che i moai letteralmente camminavano, trainati con corde ai lati trascinate da squadre di persone, che le muovevano di qua e di là provocando appunto un incedere dondolante. E’stato anche ripetuto l’esperimento, che ha funzionato.
Una volta giunti sul luogo del posizionamento definitivo, i moai venivano posti su una piattaforma che sovrastava la sepoltura del defunto rappresentato. A volte più moai di una stessa famiglia venivano posti in fila su una lunga piattaforma che era una tomba collettiva.
I moai avevano gli occhi di corallo bianco con la pupilla nera e non il misterioso sguardo vuoto di oggi. Ma il corallo è facile a sgretolarsi e diventare sabbia, e solo uno ne è stato ritrovato, conservato oggi nel museo si Hanga Roa.
Come ultimo atto della cerimonia di consacrazione dei moai, veniva posto loro in testa una sorta di copricapo in pietra rossastra, che simboleggiava l’unione con la terra.
Lo spirito veniva richiamato dal mare e a quel punto il suo volto non doveva mai più toccare terra, o avrebbe perso per sempre i suoi poteri perchè gli spiriti lo avrebbero abbandonato, lasciandolo vuoto simulacro.
TUKUTURI CHE SCRUTA IL CIELO
Tra i tanti moai che sono ritti sul tronco senza le gambe con la testa piatta e lunga, ne esiste a Rano Raraku uno speciale, il mio preferito: Tukuturi. Tukuturi siede accovacciato sulle sue ginocchia, le braccia sui fianchi, la testa arrotondata con una piccola barbetta e rivolta all’ insù con lo sguardo intenso che scruta il cielo.
E’ il più bello, espressivo e conmovente tra i moai, così anomalo da essere stato dimenticato per tanto tempo perchè faceva scandalo, sfuggiva al clichè dei suoi fratelli.
Tukuturi presenta anche un altro aspetto misterioso, è scolpito nella scoria rossa più friabile (quella dei cappelli) che proviene da un’altra cava lontana, ma si trova a Rano Raraku.
A causa della barbetta e della sua posizione tipica di una cerimonia rituale legata agli uomini uccello di cui poi vi parlerò, è stato ipotizzato che Tukuturi sia l’ultimo moai mai scolpito. Questo renderebbe ancora più affascinante quel suo guardare nei secoli verso l’ignoto.
AHU TONGARIKI
Ahu Tongariki è la piattaforma più spettacolare di Moai. Ne conta ben 15, allineati in una larga pianura con lo sfondo dell’Oceano, restaurati con un lavoro eccellente in anni recenti. Infatti quando arrivarono gli europei i moai erano ancora in piedi, si erano salvati dalla distruzione collettiva.
Ma nel 1960 ci fu un terribile tsunami che con inaudita forza li spazzò via tutti, distruggendo la piattaforma e disperdendo le sepolture che vi erano dentro. I grandi moai di pietra furono abbattuti trasportati come fuscelli, alcuni risucchiati in mare, altri ritrovati nell’interno a kilometri di distanza, in gran parte spezzati nel punto più fragile, il collo.
Gli abitanti dell’isola di Pasqua non avevano certo i mezzi economici e le disponibilità tecnologiche per un così complesso lavoro di restauro, e così cercarono aiuto dalla comunità internazionale cercando di far conoscere l’Isola e la sua cultura attraverso il messaggero più autorevole che potessero mandare in giro per il mondo: un moai.
Il “moai viaggiatore”, che ora è tornato in patria e si erge solitario su una sua piattaforma a Tongariki, mi sta proprio simpatico: fu mandato in vari luoghi del mondo e restò diverso tempo esposto in Giappone, dove trovò uno sponsor per la sua patria. Un’industria giapponese costruttrice di gru accettò di farsi carico del restauro di Tongariki. Così tutti i moai che si riuscirono a ricostruire furono collocati nel 1992 su una nuova piattaforma, ma a gran parte di essi non fu collocato sulla testa il pukao, il rosso cappello di pietra, per non appesantire la struttura che era stata lesionata sul collo.
Il moai viaggiatore è stato anche usato per l’esperimento che ha verificato, sia pure in un terreno piano, che con un sistema di corde i moai possono davvero camminare eretti!
A proposito di Moai in giro per il mondo: se il moai viaggiatore ha lasciato “volontariamente” la propria isola per poco tempo e a fin di bene, diversi suoi fratelli sono stati scippati nel tempo, come quello che fa bella mostra di sè al British Museum di Londra, o i due che si trovano sul continente cileno. I nativi ora li rivendicano fortemente in patria perchè sono il simbolo della loro cultura ma anche qualcosa di più, perchè rappresentano i loro antenati defunti dei quali incarnavano lo spirito.
IL PARADISO PERDUTO: STORIA DI UN ECODISASTRO
Rapa Nui è molto bella, con quelle sue scogliere sul mare blu ed i suoi campi ondulati coperti da un erba di un particolare verde intenso, tra cui brucano cavalli allo stato brado.
Ma dove sono finite le foreste di palme che ricoprivano l’isola mille anni fa, quando arrivarono i primi abitanti? Sono scomparse, addirittura la particolare palma autoctona che solo qui viveva si è estinta, si è riusciti dai semi a ricrearla in serra, ma non attecchisce più sul suolo dell’isola di Pasqua perchè manca il fungo che ne permette la crescita.
Secondo alcuni il taglio indiscriminato delle palme per il trasporto dei moai ne determinò l’estinzione, ma questa teoria oggi non è più molto accreditata.
Per altri furono i ratti polinesiani, giunti al seguito dei coloni e moltiplicatisi a dismisura perchè sull’isola non esistevano predatori, a mangiare tutti i semi delle palme e causare il disboscamento.
Per altri infine fu la crescita della popolazione, da poche centinaia a quasi 20.000 persone, a determinare il disastro ecologoco, in quanto servivano campi da coltivare, legna per cuocere e riscaldare, e non si pensò che le generose risorse naturali non erano infinite.
Incominciarono a mancare il cibo e le materie prime, e cone sempre avviene in situazioni del genere, si acutizzarono i contrasti tra clan che sfociarono in una vera e propria guerra civile. Siamo nel 1600, secolo degli ultimi moai.
LA FINE DEI MOAI
Che cosa avvenne davvero nessuno lo sa. Avrebbero potuto rivelarcelo le tavole scritte in Rongorongo, una scrittura unica al mondo inventata dagli abitanti di Rapa Nui, ma alcuni glifi sono stati distrutti dagli invasori europei, dei pochi rimasti si è persa la capacità di interpretazione, con le deportazioni di massa del XIX secolo che hanno quasi fatto estinguere la stirpe di Rapa Nui.
Ad ogni modo secondo una tesi la lotta tra clan si sarebbe risolta in un rovesciamento degli equilibri di potere a favore degli abitanti dell’altipiano che avrebbero rovesciato tutti i moai degli sconfitti, per allontanare da loro la protezione degli spiriti degli antichi capi tribù.
Secondo altri, invece, prima la scarsezza di risorse avrebbe distolti gli abitanti di Rapa Nui dall’investirle ella costruzione di altri moai, che si erano manifestati inetti nella protezione dell’isola, anche considerando che uno scultore di moai era molto ben retribuito. Poi sarebbero stati gli stessi uomini dei clan che un tempo avevano costruito i moai a distruggere le loro creazioni, esasperati per la situazione di crisi su cui gli spiriti non intendevano intervenire con la loro protezione.
TANGATA MANU, GLI UOMINI UCCELLO
La capacità creativa degli abitanti di Rapa Nui era veramente incredibile. Dopo l’idea dei moai per proteggere l’isola , per porre fine alla guerra civile ed eleggere un re che riportasse l’unità e gestisse le risorse comuni, si inventarono una straordinaria olimpiade.
Dall’alto della scogliera osservo il mare blu e profondo sotto il precipizio, popolato da squali, con le onde di forti correnti che lo increspano e che si infrangono contro gli scogli in potenti spruzzi, e in lontananza una piccola isolotto, Motu Nui, dove l’uomo non ha mai abitato. Lì, una volta all’anno, approda una particolare specie di uccello migratore, il manu tara, e va a deporre le sue uova nei punti più impervi e sicuri. Nessuno sapeva da dove venissero gli uccelli, perchè gli uomini di Rapa Nui non sapevano dell’esistenza di altre terre al di là del mare, pensavano quindi che gli uccelli fossero messaggeri degli spiriti degli antenati defunti.
Dove io sto attenta a rimanere un po’arretrata per paura di cadere dalla scogliera, uomini forti e coraggiosi scelti attraverso sogni o profezie a rappresentare i vari clan, decorati con copricapi di piume e col corpo interamente ricoperto di segni magici tracciati con le terre brune, scrutavano il cielo in attesa che i primi manu tara volando alti sopra ai motu (isolotti) lanciassero le loro grida forti e stridule. Esiste un petroglifo famoso che rappresenta in forma stilizzata l’uomo uccello.
Scendevano giù dalle scogliere, attraversavano a nuoto il mare impetuoso, aiutati solo da una tavola a cui appoggiarsi, andavano a caccia del primo uovo deposto, lo ponevano sulla loro fronte legato da una fascia di stoffa, quindi affrontavano di nuovo il mare inseguiti dagli uccelli vendicativi, e con la sola forza di piedi e mani si arrampicavano sulle alte scogliere.
Il primo che arrivava veniva acclamato Tangata Manu, uomo-uccello, capace di essere mediatore tra gli uomini e gli dei, e diveniva re per un anno, un re assoluto che aveva il diritto di dirimere le controversie tra clan e amministrare l’uso delle risorse. Il culto dell’uomo uccello, che ruotava intorno all’idea della fertilità simboleggiata dall’uovo primordiale, sostituì completamente quello dei moai ormai abbattuti.
IL VILLAGGIO CERIMONIALE DI ORONGO E IL VULCANO RANU KAU
Vicino alle scogliere sul lato occidentale dell’Isola, dove si svolgevano i rituali della competizione degli uomini-uccello, sorse il villaggio cerimoniale di Orongo.
Le case del villaggio sono molto semplici ma particolari, molto indicative delle necessità di difesa avvertite dai loro abitanti. Le mura molto basse, che disegnano piante ellittiche, sono costruite di massi di pietra vulcanica sovrapposti a secco, con un’unica entrata rivolta verso il mare, così piccola e bassa da poterci entrare solo strisciando (così che eventuali intrusi potevano essere subito colpiti).
Le pietre in alto si avvicinavano così da costituire il tetto; non c’erano fonti di luce oltre alla piccola porticina e gli ambienti erano così piccoli da far pensare che si trattasse solo di un riparo per poter dormire al sicuro la notte.
Il villaggio di Orongo si trova su uno dei fianchi del vulcano Ranu Kau, uno dei tre vulcani che sovrastano l’isola di Pasqua. Il vulcano è molto antico, risale a 1 milione e mezzo di anni fa; oggi estinto, si è riempito completamente di acqua e costituisce una delle riserve principali di acqua potabile di tutta l’isola.
Le sue pareti sono molto alte e scenografiche, arrivano a 270 metri, ma in un punto, in corrispondenza nel lato che dà sul mare sono molto più basse, probabilmente i venti le hanno erose o hanno provocato una frana, e gli abitanti temono che possano scendere ancora sotto al livello dell’acqua: tutta la pozza si riverserebbe nell’oceano creando un grave problema per le risorse idriche dell’isola.
HANGA ROA E LE DANZE DI RAPA NUI
Hanga Roa è l’unico centro abitato di tutta l’isola, un paese piccolo e grazioso, con poche strade su cui si affacciano casette con giardini ben curati ricchi di lussureggianti fiori, negozietti di pochi souvenir e alimentari base, piccole agenzia turistiche che offrono tour guidati e diving.
C’è un piccolo museo in cui sono raccolti reperti archeologi ed etnografici dell’isola, tra cui le tavolette scritte in Rongorongo.
C’è l’unico bancomat che non funziona per quasi tutti i prelievi europei, ma i negozi accettano pagamenti con carta di credito. Quanto a tecnologia, ebbene sì, è arrivata fin qui. Tutti con smartphone, internet e wi-fi, ma, come ci diceva il ragazzo che ci faceva da guida, “abbiamo strumenti tecnologici, ma la nostra mente è appena uscita dal medio evo, amiamo la lentezza e non la corsa al successo”, una bella combinazione a pensarci bene.
C’è un mercato artigianale in cui diversi abitanti di Rapa Nui vendono creazioni artigianali del luogo: naturalmente i moai, scolpiti ora nella stessa pietra vulcanica di allora, collane di conchiglie, parei colorati e tshirt con riprodotti moai o uomini uccello, coroncine fermagli per capelli con i tipici fiori (finti) polinesiani, persino splendidi pezzi di corallo bianco che naturalmente è vietatissimo importare.
C’è una chiesa piccolina dalla facciata di legno bianca con decorazioni rosse, graziosa e appropriata chi ha assistito alla partecipata cerimonia domenicale, in cui i canti nella tradizione locale si fondono con la liturgia cattolica, mi ha detto che è uno spettacolo che vale la pena vedere.
C’è un porticciolo, dove i locali fanno il bagno e tra le barche colorate dei pescatori e delle escursioni del diving fanno spesso capolino tartarughe marine che rimediano sempre un po’ di cibo. Io non sono stata così fortunata da incontrarle. Ho solo potuto ammirare il petroglifo in cui viene raffigurata una grande tartaruga marina, incisione che è diventata uno dei simboli dell’isola che troneggiano sulle magliette.
Alla sera andiamo in un locale dove possiamo assistere alla preparazione del tipico pasto locale tradizionale, il “curanto” collettivo. Il cibo viene cotto in un forno di pietra vulcanica arroventata (sui blocchi di pietra si vedevano ancora i buchi dei cardini delle porte, ho l’impressione che il forno fosse risultato del saccheggio di qualche antica costruzione di pietra) su cui viene disteso il cibo: grandi pesci, pezzi di carne interi, verdure, tutto viene ricoperto con foglie di banano, poi con tavole di legno e infine con palate di terra, e lasciato cuocere. Devo dire che la modalità di cottura è molto sana e il gusto è ottimo.
Mentre il cibo cuoce inizia lo spettacolo dei canti e delle danze. Sia le donne sia gli uomini polinesiani sono splendidi. La danze rievocano la storia di Rapa Nui, dalla costruzione dei Moai alla loro distruzione alla competizione degli uomini-uccelli, e sono molto simile alle danze Maori conosciute tramite le esibizioni degli All Blacks. Quelle degli uomini, a torso nudo, dipinti di terre bianche e marroni che formano una sorta di tatuaggi tribali su tutto il corpo, e con copricapi piumati, esprimono potenza e forza quasi animalesca. Quelle delle donne, con il gonnellino di paglia, i fiori in testa e coppe di cocco sul seno, sono sinuose come i balli polinesiani.
LA SPIAGGIA DI ANAKENA
Rapa Nui ha una sola spiaggia, ma vale per cento. E’ davero qualcosa di unico ed è considerata una delle più belle spiagge esistenti al mondo. Un prato verdissimo e coperto di palme che declina dolcemente verso la spiaggia di sabbia bianca fine, che si colora di rosa in certi momenti del giorno, una piattaforma su cui stanno una fila di moai tra i meglio conservati dell’isola, che danno le spalle al mare e guardano verso l’interno, e dietro di loro la lunga spiaggia, un’insenatura semicircolare con il mare azzurro in riva e poi blu, caldo nonostante sia oceano. Tutti i colori del paradiso.
E un paradiso deve essere apparso sia al re Hotu Matu’a e ai suoi primi sei coloni venuti da Thaiti, che seconda la leggenda proprio qui approdarono, sia al primo uomo occidentale a raggiungere l’isola, Jakob Roggeveen, l’esploratore olandese che per caso avvistò Rapa Nui e vi sbarcò la mattina del giorno di Pasqua del 1722, ribattezzandola appunto con il nome di Isola di Pasqua.
Colonizzare Rapa Nui era però privo di utilità pratica e passarono altri 50 anni prima che vi sbarcasse una nave spagnola, nel 1770. Quindi nel 1774 fu il momento di James Cook , che vi rimase due soli giorni ma gli scenziati al suo seguito descrissero accuratamente i siti archeologici principali dell’isola e tracciarono schizzi di Moai, così che molte conoscenze di come era un tempo Rapa Nui sono dovute proprio a questa spedizione. Nel 1887 poi vi fu la spedizione scientifica francese di la Perusse. Tutti gli esploratori non resarono sull’isola se non pochissimo tempo, ma fu un tempo sufficiente ad importarvi malattie sconosciute, come la banale influenza, a cui gli indigeni non avevano anticorpi adeguati, e queste decimarono la popolazione.
Nel 1862, poichè era stato vietato di importare in America schiavi dall’Africa, una spedizione schiavista dal Perù approdò sull’Isola di Pasqua e deportò la quasi totalità della popolazione. Restarono solo 111 abitanti, nessuno dei quali era appartenenti alle classi sacerdotali in grado di leggere la scrittura Rongorongo e di tramandare le tradizioni sacre orali.
L’opera di distruzione della cultura locale fu terminata dai missionari cattolici, che convertirono i pochi superstiti e si perse ogni traccia dell’antico culto locale, anche se fra i missionari cattolici vi furono persone che ebbero molto a cuore l’isola, come il cappuccino padre Englert, a cui dobbiamo il piccolo museo di Hanga Roa.
Nel 1888 quindi Rapa Nui fu annessa ufficialmente al Cile, che battè in una corsa navale la Francia che arrivò pochi giorni dopo a rivendicare l’isola.
Il resto ufficialmente è storia cilena, ma l’Isola di Pasqua è sempre stata lontana dalle vicende del Cile, dalle sue tragedie come dalla sua rinascita. Ne ha subito l’invadenza, ma forse è anche stata un’invadenza necessaria, perchè non avrebbe avuto le forza di sopravvivere isolata
E oggi? Per fortuna gli abitanti di Rapa Nui hanno preso coscienza del valore immenso di mantenere la propria diversità, di recuperare la cultura unica dei loro avi, di preservare il territorio senza stravolgere l’ecosistema e senza creare un business che non sarebbe sostenibile, ma accettando le sfide di una propria equilibrata via alla modernità.
In termini di sostenibilità l’Isola di Pasqua ha già dato e la sua storia è un monito per tutta l’umanità.
Ora sul futuro di Rapa Nui sono tornati a vegliare i Moai.
Che bellissimo articolo, mi hai tolto il fiato. Anche i ho letto delle ultime speculazioni fatte sul luogo di posizionamento dei Moai, ma anche io, come te, sono meno pragmatica e mi piace pensare ad altro. Un viaggio pazzesco, complimenti
Non credevo ci fosse così tanta spiritualità legata a quest’Isola e alle sue tradizioni. La natura è strepitosa, così come i colori che la rendono ancora più viva. Ma è stato leggere di tutte le credenze di questa terra a toccarmi maggiormente. Per me è assurdo come si conosca ancora così poco di questo luogo, io per prima conoscevo l’Isola di Pasqua in modo molto superficiale fino ad ora!
Wow! Questo articolo è veramente ricco di informazioni (ed emozioni devo dire) legate a quest’isola. L’ho salvato perché ho bisogno di rileggerlo e gustarmelo con calma. E poi capita a fagiolo, perché sto scrivendo un articolo sulle destinazioni rovinate dal turismo di massa e parlo anche di quest’isola, e dei ripari a cui è dovuta ricorrere. Hai ragione, comunque, chissà cosa si prova a vivere così isolati dal mondo 🙂
Mi interessa proprio leggere il tuo articolo sul turismo irrispettoso dei luoghi. Bisognerebbe sempre entrare in punta di piedi nei santuari della natura e nelle tradizioni dei popoli diverse dalle nostre.
Fra tutti i luogi che non ho visitato (tantissimi) Rapa Nui non è nella mia lista, non so perchè, ma non mi attira. Leggendo il tuo articolo mi sta paicendo un po’ di pù, ma ti chiedo sinceramente, vale la pena tutte queste ore di volo per arrivarci? Mi interessa seriamente la tua risposta
Dipende da che cosa si cerca. Certo non è un luogo di grande movida, ma questo ha il suo fascino. E’ un posto remoto, piccolo, se ami il diving c’è una splendida barriera corallina, se sei interessata di archeologia e antropologia è imperdibile. Io ho un metro per valutare se un posto vale la pena: se rimane impresso nella memoria o pian piano si scioglie. Penso che Rapa Nui sia uno di quei posti che rimangono.
È un luogo magico. Lo sognavo sin da bambino.
Ecco una delle mete più isolate e particolari che ci sono. Da piccola ero molto affascinata da Rapa Nui e dalle sue leggende. Ora devo ammettere che non so se farei tutte quelle ore di viaggio per arrivarci, forse darei la precedenza ad altre mete. Mi piace però il fatto che gli abitanti vogliano riscoprire e al tempo stesso preservare il proprio territorio e le proprie tradizioni.
Ho sentito tanto parlare di quest’isola e spero un giorno di poterla visitare!!! chissà che meraviglia sapersi dall’altra parte del mondo, “sperduti” in un’isola così affasciante e misteriosa nell’Oceano Pacifico!!
Hai scritto un post interessantissimo, pieno di cose da imparare, grazie! Il maoi viaggiatore mi ha quasi intenerita! Non sapevo nemmeno che il turismo fosse così regolamentato e ne sono molto contenta. L’ultima cosa di cui c’è bisogno è un altro baraccone turistico.
Vedere i Moai è uno dei miei sogni. Quello che mi sorprende è pensare a quanto sia stato distrutto su quell’isola in circa 200 anni di storia. So che gli alberi non ci sono più per via dell’azione dell’uomo. Chissà com’era un tempo.
Un’isola di cui conoscevo davvero poco, è stato un piacere scoprire tutte queste notizie interessanti leggendo il tuo articolo!
Sono sincera è un posto che mi affascina molto ma non è nella mia lista dei desideri per il momento. Purtroppo le ore di volo sono davvero molte ed è un viaggio abbastanza costoso, per questo per ora preferisco scegliere altre destinazioni. Ma il suo fascino è indiscutibile.
Sono affascinata dall’Isola di Pasqua da sempre. Non so quanti documentari ho visto e quanti articoli ho letto su questo posto così affascinante. Il tuo post li riassume tutti in modo ottimo. Grazie.
Che posto incredibile! È stato molto interessante leggere il tuo articolo, ho scoperto molte cose che non sapevo e mi hai incuriosito molto su quest’isola, sulle sue tradizioni e sulla sua cultura. Mi piacerebbe andarci prima o poi.
Valeria mi è piacito molto leggere questo tuo post sull’Isola di Pasqua . Un luogo per me troppo lontano e fermo in un tempo irrisolto. La spiaggia rosa è bellissima. Grazie
Davvero un paradiso terrestre uno di quei posti che prima o poi ci piacerebbe vedere nella vita. Il tuo post e le tue foto mi hanno fatto venire ancora più voglia di intraprendere un viaggio così
Uno dei racconti più belli ed appassionati di questo luogo, che fa davvero comprendere la grandiosità di un popolo e la spiritualità che lo lega alla sua terra. Spero anche io di avere prima o poi la fortuna di visitare questo paradiso
Mi sono sempre chiesta come sarebbe una vacanza nell’isola di Pasqua. Ho letto e riletto di tutto sull’argomento. Aggiungo alla mia lista i tuoi consigli che salverò in vista della prossima vacanza, spero di riuscire ad organizzarla in un posto così bello!
Un tuffo al cuore ogni volta che vedo delle immagini dell’Isola di Pasqua.
Una delle tappe del nostro viaggio di nozze, uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi in cui abbiamo messo piede. Sicuramente il più sperduto.
Grazie per avermi emozionato ancora…
Bellissimo articolo complimenti, il tuo raccontare mi ha fatto sognare ad occhi aperti un grande popolo ancora in pare sconosciuto. Chissà magari un giorno riuscirò a vedere di persona questo paradiso. Non conoscevo tutte queste cose sulla costruzione dei Moai, tantomeno che fossero dei simboli funerari. Davvero affascinante!
Che sogno l’isola di Pasqua, mi affascina moltissimo! Il tuo racconto è ricco di informazioni interessanti, hai aumentato ulteriormente la mia voglia di visitarla!
Durante il nostro primo viaggio in Venezuela ricordo una coppia in viaggio di nozze che era appena tornata dall’isola di Pasqua L ho ascoltata per ore un viaggio sicuramente unico complimenti ! Ma soprattutto complimenti per il post dettagliatissimo
Caspita! Complimenti! Ho adorato leggere questo articolo, un mix di descrizioni, parti più poetiche ed emotive, altre storiche, davvero scorrevole e poi si percepisce proprio l’essenza del viaggio in questo luogo magico! Io adoro il Pacifico, appena possiamo io e mio marito ci torniamo e quest’isola è senza dubbio della nostra wishlist! 💙
Che meraviglia! Ricordo ancora quando da bambina a scuola mi raccontavano di questa fantomatica Isola di Pasqua durante la lezione di geografia… e io sognavo di visitare quest’isola lontana con le teste giganti! Spero un giorno di riuscire a visitarla per davvero!
Che dire se non che l’Isola di Pasqua è un sogno! Credo chiunque sogni di visitarla. Grazie per i preziosi consigli 🙂
Oh che spettacolo!!! Quando da piccola mi raccontavano dell’isola di Pasqua e dei suoi spiriti, io pensavo fosse un posto incantato e credevo non esistesse. Poi da grande, quando ho iniziato a leggere le mappe, ho scoperto che esisteva davvero e da quel momento ho iniziato a pensare che tutti i sogni esistono. Grazie per aver condiviso questo viaggio!