Inoltrandosi nella Siberia tra paesaggi innevati a -21° si rischia il congelamento ma ne vale la pena: Kazan è una perla sconosciuta a cavallo tra la cultura russa e quella caucasica, ed il suo Cremlino rivaleggia con quello di Mosca per eleganza e colori.
Prima o poi mi riprometto che percorrerò con il treno tutta la Siberia, da Mosca fino a Vladivostock, lasciandomi cullare dalle suggestioni dell’inverno, o magari sceglierò la rotta della Trasnmongolica fino a Ulan Bathan, ma intanto, con pochissimi giorni di vacanza, ho voluto provare un assaggio di questa emozione di ghiaccio percorrendo la rotta da Mosca a Kazan, la mitica capitale del regno dei Tartari, oggi Repubblica del Tatarstan, che fa parte della Federazione Russa. Kazan è una città poco conosciuta nel mondo, eppure ha combattuto a lungo con Mosca per la supremazia sulla Russia (ricordate lo sceneggiato di Michele Strogoff?), e pochi sanno che il Cremlino di Mosca fu costruito proprio per celebrare la sconfitta di Kazan, senza la quale la storia avrebbe preso un’altra piega.
Metà della popolazione di Kazan è russa, metà tartara, e l’incontro di queste due etnie si è risolta oggi in una convivenza ricca di cultura, anche se con qualche sussulto separatista.
Il percorso da Mosca a Kazan dura 12 ore di passaggio tra boschi e villaggi innevati, e mentre il treno si inoltra nella sterminata distesa di campi e boschi bianchi, fino a quando la notte non inghiotte tutto nell’oscurità, al caldo si guarda lo spettacolo dal finestrino e non ci si accorge che si sta passando dai -8 gradi di Mosca ai -21 di Kazan, il che per chi come me abita a Roma e vive sotto la neve una giornata ogni 10 anni non è esattamente una sensazione scontata. Dopo una piacevolissima notte nel vagone di lusso, con cena
servita in camera sul tavolino apparecchiato con tanto di fiori, dormita su comodissimi letti da una piazza e mezzo, con servizi privati comprensivi di pantofole e pochette con il necessario da toeletta, televisione con dvd, impianto stereo, colazione con una tavoletta di cioccolata e altre leccornie, alle 7 si approda alla banchina della stazione di Kazan; -21, dicevamo (dimenticavo di dire che con me e mio marito c’è nostra figlia di 3 anni), e il pensiero laterale suggerisce solo di trovare alla svelta prima un bar dove acclimatarsi e poi possibilmente un museo fino almeno alle 10, quando il sole incomincerà a scaldare un po’. Bene, la domenica i bar sono chiusi, e i musei aprono giustappunto alle 10,00.
Rassegnati al congelamento, ma confidenti nelle prospettive scientifiche della vita dopo l’ibernazione, ci dirigiamo al Cremlino, la rocca-scrigno di Kazan che racchiude i suoi più preziosi monumenti e musei, meritatamente patrimonio dell’umanità UNESCO. Vi posso dire che vale da solo il viaggio e gli inconvenienti atmosferici, è davvero un gioiellino di un’unica eleganza e bellezza a cavallo tra due culture, peraltro a visita gratuita, al contrario di quello di Mosca. Passata la porta delle sue mura, a destra e a sinistra di un lungo viale alberato e innevato (ma spalato ogni 5 minuti) si incontrano edifici storici in stili molto differenti tra loro, tra cui indubbiamente spiccano rivaleggiando per originalità la cattedrale ortodossa e la moschea ottomana, oltre a ben 7 musei davvero per tutti i gusti, tra cui secondo me sono particolarmente interessanti il museo sull’ecosistema della regione e soprattutto il museo delle belle arti del Tatarstan.
Il curatore di quest’ultimo, simpatico e particolarissimo soggetto a metà tra un Platinette coi capelli neri e Costantino della Gherardesca, preso da un impulso di pietà nei nostri confronti ci fa aprire appositamente il museo fuori orario, e abbracciando le spalle di mio marito ci guida alla scoperta delle opere che vi sono custodite.
Il piano terra è dedicato sostanzialmente al folklore, cioè all’oggettistica coloratissima di arte popolare di entrambe le etnie che popolano la regione, in cui si percepisce la contiguità della cultura tartara con quella mongola, ma anche con quella balcanica; non per niente i tartari di Kazan sono detti anche “bulgari del Volga”. La vera sorpresa sono invece i due piani dedicati ai dipinti dei pittori del Tatarstan sostanzialmente tra fine 1800 e metà del 1900, e comprende dipinti poco conosciuti, ma emozionanti e in molti casi straordinariamente belli e vividi, tanto da non sfigurare certo in musei più blasonati, mentre altri quadri sono molto interessanti per l’aspetto storico e propagandistico. Ecco, ve ne posto tanti perchè difficilmente li troverete in rete. Guardate come è reso bene nel primo quadro a sinistra in alto l’animo del padre del pittore, povero e quasi mendicante ma dignitoso, o la leggerezza della bambina che non posa, ma sta su una tavola disordinata come quella di un vero pasto dei bimbi, tra bambole sparse e piccoli ornamenti, o il raffinato vestito della ragazza, bianco sullo sfondo di tappezzeria a fiori; i lavoratori dei campi o quelli delle officine hanno un’espressione orgogliosa anche se non spudoratamente celebrativa, mentre con il grande affresco del congresso di partito la funzione “ageografica” è evidente; e poi ci sono i bellissimi quadri che parlano della storia dei tartari, come il quadro dell’eroina a cavallo con il suo falcone, uno dei quadri simbolo del museo, o ci rendono partecipi delle loro feste e dei lori costumi. Anche la Madonna col bambino dai lineamenti mongoli sono secondo me un capolavoro.
La cattedrale ortodossa dell’Annunciazione è uno spettacolo, con le sue cupole tutte colorate e dorate, progettata dagli stessi architetti della cattedrale di San Basilio di Mosca. La leggenda narra che lo zar Ivan il Terribile chiedesse agli architetti, dopo la costruzione di S.Basilio, se sarebbero stati in grado di replicare un simile capolavoro, e quando quelli gli risposero di sì, li fece accecare per impedirlo, ma tutto ciò non deve essere vero, perchè la cattedrale di Kazan è successiva rispetto a San Basilio. Quello che non fece Ivan il Terribile fecero comunque i sovietici, che presero d’assalto il Cremlino di Kazan che era occupato dalle truppe cecoslovacche nel 1918, e recarono molti danni, e poi successivamente fecero abbattere il campanile, distrussero le cupole che sono state restaurate solo negli anni ’70 e depredarono molte delle opere d’arte che erano contenute nella chiesa, prima di imporne la chiusura, con quell’odio per la religione che aveva portato a Mosca alla demolizione di altri inestimabili edifici sacri.
Se la cattedrale è stata restaurata secondo l’antica architettura, e consacrata nuovamente solo nel 2005, anche la sua dirimpettaia, la Moschea moschea Qol-Şärif, sul modello dell’antica moschea distrutta nel 1552 durante l’assedio russo è stata ricostruita negli stessi anni, aperta anch’essa nel 2005. Bianca con i suoi leggiadri 4 minareti con la punta blu e una grande cupola decorata con motivi che richiamano la corona di Kazan, è una delle più grandi moschee d’Europa; una grande fetta della popolazione tartara infatti è di credo musulmano sunnita. Abituata alle moschee dei paesi arabi, ero raassegnata all’idea di dovermi togliere i doposci e prendere in prestito un velo per il capo, ma le usanze si adattano ai luoghi, pur senza snaturare il senso religioso che vi è dietro: con questa neve, qui non si tolgono gli scarponi, ma si puliscono accuratamente infilando il piede in una macchina a spazzole rotanti, e il velo è sostituito dal cappuccio della giacca a vento, purchè i capelli siano tenunti ben dentro. Questa è intelligenza e attenzione all’interiorità del significato profondo dei gesti, e l’ho molto apprezzata. Dentro, nonostante il marmo degli urali profuso senza risparmio e il grande lampadario boemo, gli ambienti non sono altrettanto affascinanti quanto l’esterno. Sulla grande piazza davanti alla moschea, tutta innevata, incurante di un sibilante vento freddo che sbatte con forza sul viso i fiocchi di neve, mi lascia allibita una sposa in costume tartaro a maniche corte per le fotografie di rito. Ah, l’amore…
Non si può entrare nell’ottocentesca Casa del Governatore, oggi sede del Presidente della Repubblica del Tatarstan, anche se non ci sono i classici soldati di rappresentanza di guardia.
Un altro importante monumento del Cremlino è la Torre Söyembikä, un’alta torre di guardia la cui storia è mista a romantica leggenda; intanto non si sa quando fu costruita, perchè tutti i documenti storici di Kazan sono andati perduti con l’invasione di Ivan il Terribile, ma probabilmente risale ad un periodo anteriore alla metà del 1500; certo comunque nella sua storia la torre ne ha viste tante, e sulla sua cima si sono susseguite l’aquila bicipite, la stella rossa, la mezzaluna islamica. Si narra che la principessa Söyembikä, chiesta in sposa dallo zar, avesse detto che avrebbe accettato solo se in sette giorni lui fosse stato capace di costruire una torre più alta della moschea. Lui non se lo fece ripetere due volte e in sette giorni completò l’opera, e la sfortunata Söyembikä si gettò dall’alto della torre. Del resto ad una principessa è legata la stessa leggenda della fondazione di Kazan, il cui nome significa “padella” in tartaro, perchè lì una principessa tartara avrebbe perso nel fiume la sua padella, e mentre si prolungavano le ricerche furono costruiti i primi insediamenti; più probabilmente il nome dipende dalla posizione della città in una sorte di conca, appunto un tegame tra gli altipiani.
Dal Cremlino si gode di una splendida vista sulla città e si capisce che le distanze sono tali da permettere una visita a piedi, ma non si può resistere alla tentazione di un giretto sulla carrozza storica (ahimè del tutto aperta) con cocchiere in costume tartaro.
Ci facciamo lasciare poco lontano, in riva al fiume (Kazan sorge alla confluenza dei fiumi Volga e Kazanka) , qui così largo che sembra un lago, davanti ad un edificio liberty particolarissimo, il Ministero dell’Agricoltura, con la sua cupola ed il suo emiciclo di colonne bianche, in cui spicca il mastodondico portone con la scultura di un alto albero di bronzo, molto originale e bella.
Torniamo verso il Cremlino, nei cui dintorni si trovano diversi monumenti: chiese e moschee in ugual numero ripartite (le prime soprattutto nel quartiere tartaro e le seconde più in zona russa), il Shalyapin Palace Hotel e l’Università, dove studiò con poco profitto, e fu anche espulso, il giovane Lenin.
Il quartiere dell’antico insediamento tartaro è caratterizzato da case di legno a due piani, ma molte sono state scientemente distrutte perchè scomode, in barba alla conservazione dell’eredità culturale, e vanno cercate col lanternino tra edifici moderni.
Ci dirigiamo verso la via elegante del passeggio pedonale e dello shopping, la Baumana ulitzka. E’ il salotto buono della città, con le facciate degli eleganti palazzi recentemente restaurati (e poi le vie appena dietro mostrano le loro rughe impietose), e tante vetrine scintillanti di souvenir variegati, in gran parte di stampo russo. Assaggio gli ottimi dolcetti locali, venduti in diverse varianti, che sono una sorta di strufoli, striscioline di pasta fritta appallottolate nel miele, ricoperte o meno di cioccolato. Il passeggio è l’occasione anche per osservare la gente, ben intabarrata come me e non svolazzante come la sposa di cui sopra: le fattezze sono in gran parte europee, ma c’è una certa percentuale con lineamenti nettamente caucasico-mongoloidi, e alcune ragazze forse di sangue misto, con i capelli neri, la pelle un po’ di bronzo e gli occhi a mandorla sono molto belle. L’atteggiamento delle persone, come in tutta la Russia, è un po’ freddo, difficile strappare un sorriso nella conversazione, peraltro piuttosto ardua perchè in gran parte l’inglese è sconosciuto; ma i pochi giovani che parlano inglese lo parlano con uno splendido accento oxfordiano.
Non mi lascio sfuggire una carezzina propiziatoria al pancione del monumento al gatto che troneggia sdraiato e soddisfatto in mezzo alla via e che tutti strofinano per buona sorte. Le sculture insolite nella via e nella città sono peraltro parecchie, dalla carrozza di bronzo a grandezza naturale, al drago sulle pendici del Cremlino.
E decisamente insolito è anche il “Tempio di tutte le religioni”, luogo di culto sincretico appena completato, pastiche coloratissimo e molto gradevole che riprende elementi architettonici di moschee, chiese, sinagoghe, templi egizi; dentro è un centro culturale, non si svolgono riti religiosi.
Non si può dunque negare che la città sia molto viva e capace di rinnovarsi; al calar della sera mi aspetta il mio vagone letto che mi riporterà al “calduccio” di Mosca, ma Kazan merita certo più della giornata che le ho riservato. Nel 2018 ospiterà parte dei mondiali di calcio, e sicuramente sarà una scoperta per il turismo. Dunque, con un po’ di snobismo per il calcio, sono contenta di averla visitata ora, mentre è ancora una bella principessa addormentata.
Molto.interessante.io ho una relazione nascente con una ragszza nata a kazan e che vi abita.alcune cosensu kazan le conoscevo altre no.grazie