Il mio viaggio nel Kurdistan iraniano, dopo la regione al confine con l’Iraq da Sandandaj a Marivan, di cui vi ho parlato nel mio post precedente, continua inoltrandomi tra le catene montuose nelle valli più remote, dove mi aspettano le emozioni di luoghi dove il turismo è ancora poco o niente presente, e di siti archeologici legati alla grande storia persiana.
PALANGAN
Ore di montagne alte e valli brulle, disseminate qua e là da querce non troppo convinte di mettere radice proprio lì e da campi di frumento, poi un corso d’acqua si insinua tra le montagne e all’improvviso in lontananza, in una gola sulla costa del monte dall’altra parte della valle, si staglia il villaggio di Palangan, e subito ci si rende conto di trovarsi in un altro mondo che ha qualcosa di irreale e nello stesso tempo di sorprendentemente autentico, un commovente presepe, un tuffo all’indietro nella notte dei tempi, quando l’uomo era parte della natura e viveva secondo i ritmi di questa, in simbiosi con gli animali, con semplicità e rispetto per la terra.
Con le sole immagini non si può descrivere cosa si prova alla vista di Palangan: sono i suoni, gli odori, a completare l’unicità del quadro.
Fin dal lontano si sente l’eco di una babele zoologica che abita il paese con pari dignità rispetto agli esseri umani, capre che si inerpicano per le strette salite di pietra, pecore che pascolano qua e là, galline che razzolano e galli che lanciano il loro chicchirichì sui tetti delle case, mucche che conoscono la strada di casa e sole alla sera tornano alle stalle che sono uguali alle casette di pietra dove un ambiente serve a tutto, con i loro buchi-finestre da dove entra la luce. Semplicemente meraviglioso.
Dalla strada si scende a piedi giù fino al fondo della gola (sul terrazzo – tetto di una casa un po’fuori dal paese, due donne in lungo abito colorato stanno facendo una matassa di lana), si passa un ponticello sul fiume, ci si ritrova sotto alla parete di case affastellate su per la montagna.
Da qui non ci sono più strade. Per salire bisogna procedere per scalini di pietra tra una casa e l’altra, tutti cosparsi da escrementi di mucca e capra, passare su tetti che sono le aie delle case di sopra, andare su e di lato senza una direzione precisa, e lasciarsi prendere dallo stupore e dall’incanto e dal senso di commozione di essere uno dei pochi privilegiati ad essere ammesso ad affacciarti in punta di piedi su una realtà del tutto incontaminata dal turismo.
Gli abitanti di Palangan, dai bambini ai vecchi, sono belli, col volto sereno e con una grande dignità, come tutti i kurdi, gli uomini vestiti con quella sorta di tuta larga e stretta in vita da una fascia colorata, in testa un’altra sciarpa legata a mo’di turbante, le donne in abiti lunghi fino ai piedi spesso dai colori sgargianti.
Al contrario di tanti paesi italiani in decadenza e abitati da soli vecchi, qui le strade sono piene di bambini, nonostante le condizioni povere di vita non c’è traccia di crisi e di abbandono del villaggio, anzi tanti si danno da fare per costruire con le proprie mani nuove abitazioni o per aggiustare quelle che hanno bisogno di una sistemata.
Nonostante io sia un invasore con la mia macchina fotografica protesa a cogliere la bellezza di questo momento, gli abitanti di Palangan sono pazienti, sorridenti, forse un po’curiosi, ospitali in un modo in cui noi, con il nostro benessere e le case blindate, non saremmo mai capaci di esserlo.
Certo non c’è la televisione qui, non ci sono fronzoli della modernità, non ci sono nemmeno i letti soffici con i cuscini, ma tappeti srotolati sul pavimento e coperte a riparare dal freddo pungente dei mesi freddi, ma c’è tanta splendida umanitá.
La guida non si è voluta arrampicare nel paese, ma tanto non servirebbe a molto, perchè lui è pharsi, e qui si parla solo kurdo, che è completamente differente, anzi uno dei tanti dialetti kurdi tutti diversi tra loro.
Mio “mediatore culturale” come sempre è Giulia, la mia bambina: i bambini rompono le barriere, creano tenerezza e vicinanza. Molti si avvicinano, ci si parla a gesti e a sorrisi, offrono a Giulia piccoli preziosi doni, delle melograne, una manciata di pezzi di formaggio secco di capra, che può essere tenuto in tasca e succhiato in bocca come un lecca lecca salato.
Una mucca ci guarda diffidente da sotto gli scalini, le stiamo ostruendo la strada di casa; ci schiacciamo contro il muro e le facciamo gesto di passare, lei ci pensa un po’ , poi ci sorpassa, raggiunge il cortile di casa sua e si infila dentro la sua stalla. Ad aspettarla c’è un vitellino che subito si fa’una bella poppata, poi quando è sazio arriva una donna, abilmente la munge in una ciotola e con il latte riempie un biberon che così, senza bisogno di bollitura e senza problemi di pastorizzazione, va direttamente a sfamare un bimbo biondissimo, che sembra del tutto fuori contesto qui. In realtà non sono pochi i discendenti degli eserciti del biondo Alessandro Magno che passò di qui e a lungo soggiornò ad Ecbatana.
Un vecchio seduto per terra sega un grosso legno per rifare il tetto della sua casa, ma ha il tempo di alzare lo sguardo e salutarci con un sorriso, mentre si vede che altri lavori fervono in tutto il villaggio, devastato dal terremoto del novembre 2017, ma già rinato grazie al lavoro dei suoi abitanti.
E’ sera e io vorrei restare ancora qui, ma i ritmi sono quelli naturali, col buio tutti rientrano nelle loro case,e devo affrettarmi con l’ultima luce del giorno, e anche un po’con la torcia del telefonino, a ridiscendere a valle.
All’odore a tratti forte degli animali si sovrappone ora quello del cibo buono che si sta cucinando nelle case.
Attraverso ancora il ponte e mi fermo ad ammirare il fiume che scorre nella gola, su cui in lontananza intravedo una carrucola azionata a mano con un cesto per il passaggio delle persone e delle cose là dove non ci sono altri ponti.
Mi trattengo dopo il ponte sotto l’unica tenda che funge da luogo di ristoro, a bere un the su un tappeto, anmirando il presepio da lontano: i suoni stanno tacendo, si è acceso qualche fuoco per far bollire le zuppe ed arrostire il pesce pescato dal fiume, le luci come tante stelle illuminano le case e la montagna. Grazie Palangan, per tutte queste emozioni.
KERMANSHAH
E così eccomi arrivata a Kermanshah.
Kermanshah è il capoluogo dell’omonima provincia, abitata anch’essa prevalentemente da kurdi. Siamo a soli 60 km da Palangan, ma qui si respira aria diversa, cittadina, le case antiche del centro storico tra la moschea e il bazar e i curatissimi parchi e spazi verdi sono costellati di quelle luci al neon colorate che tanto sembrano attrarre incongruamente i paesi mediorientali quasi come un simbolo di modernità, i vestiti tradizionali sopravvivono ma molti giovani hanno adottato abbigliamento occidentale.
Il bazar di Kermanshah è ospitato da una struttura antica con ampie volte di mattoni. Io nei bazar sono sempre una bambina impazzita come se mi trovassi tuffata in un barattolo di nutella, anche se questo bazar è abbastanza poco turistico quanto alla merce venduta. Roba cinese o roba inutile, dice con disincanto la nostra guida. Io però guardo affascinata le diverse zone tematiche in cui sembra essere suddiviso il bazar: fra tutte la galleria degli ori, con gioielli vistosissimi ma in qualche modo leggiadri perchè lavorati in filigrana, il tunnel delle botteghe di stoffe, coloratissime e impreziosite da dettagli luccicanti per l’intimità domestica o per i momenti solo al femminile, suppongo, altro che chador nero!
E poi il bazar continua tutto intorno alla struttura originaria, con le vie delle spezie, tripudio di odori e colori, molte delle quali a me assolutamente sconosciute, sacchi di diverse qualità dei migliori pistacchi del mondo, piccoli fichi secchi, grandi quantità di noci che vengono proprio dal Kurdistan, uva passa e tante altre cose buone.
C’è persino un negozio con barattoli di vetro contenenti liquido trasparente con diversi tipi di serpenti, scorpioni ed altre amenità, che servono per certi rimedi di medicina tradizionale.
Ovunque si cuociono e vendono i tipici dolci di Kermanshah, dei biscottini molti friabili gialli, tipo pasta di melica, alcuni ripieni di fico, e tutti i venditori ne offrono ai passanti, così che si esce dal bazar belli sazi: un’altra specialità è il frullato di carote e gelato, ero molto scettica ma il gusto è squisito.
Le moschee sono tantissime, in gran parte moderne, spuntate come funghi negli ultimi anni, a me sembrano tutte belle anche se si assomigliano con i loro due minareti e le maioliche azzurre delle facciate, ma non sono di particolare interesse storico o artistico.
Affascinanti invece sono due antichi edifici monumentali: il più bello è il mausoleo dell’Hosseinieh Takieh Mo-aven ol-Molk, che ha funzione di Hosseineh, cioè di luogo sacro commemorativo del martirio dell’Iman Hossein a Karbala.
La facciata, il bel cortile e la sala con la cupola sono tutti coperti di mattonelle policrome con scene sia a sfondo religioso sia preislamiche. Uno spettacolo! Attualmente la sala principale è in restauro in quanto danneggiata durante la guerra con l’Iraq.
L”altro bell’ edificio è Tekieh Biglar Baigi, che ha un elegante cortile ed un salone a cupola fatto costruire da un notabile locale in epoca relativamente recente, inizialmente concepito come moschea, molto scenografico, tutto ricoperto di specchietti di vetro sfaccettato e con un grande lampadario.
Ospita anche il museo del paleolitico, quattro sale in cui sono raccolti i reperti preistorici, ossa e manufatti, e una ricostruzione delle fattezze dell’uomo di Neanderthal, le testimonianze della cui presenza sono state ritrovate qui, in una grotta a Bisotoun.
TAQ-E-BOSTAN
Inglobato nel contesto cittadino di Kermanshah, sorge il sito archeologico di Taq-e-Bostan. Vi si accede da un’area pedonale costeggiata da ristorantini che cucinano su grandi griglie esclusivamente corposi spiedini di pollo e di pecora, tutti chiamati kebab con diversi aggettivi a seconda dell’aromatizzazione, da gustare accompagnati da caraffe di doogh (lo yogurth salato liquido) sui tappeti rialzati, su cui ci si siede a gambe incrociate dopo essersi tolti le scarpe.
Dopo si può digerire fumando il narghilè, anche le donne! Dieci anni fa questa cosa era molto sconveniente, ora noto molta più libertà nelle piccole cose, ad es. ormai marito e moglie possono tenersi per mano in strada, prima era vietato qualsiasi contatto.
Ma torniamo al sito di Taq-e-Bostan. E’ uno splendido colpo d’occhio trovarsi di fronte ai grandissimi bassorilievi rupestri scavati nella roccia dei monti Zagros, fra i più belli rimasti dell’epoca sassanide (la dinastia che regnò in Persia tra il 226 e il 650 d.c.).
Sono stati esposti al vento e alla pioggia per secoli e secoli, hanno visto cambi di dinastie e rovesciamenti di regni, ma sono ancora intatti nella loro maestosità; addirittura è ancora intatto il laghetto di fronte alle sculture, che sembra artificiale ma invece è ancora la stessa pozza sacra alimentata da fonti sotterranee di 1700 anni fa.
Sono due grandi blocchi di bassorilievi frontali sotto due archi di roccia, più numerosi rilievi e scritte sulle pareti laterali; il più grande è un arco sovrastato da due figure alate, angeli zorohastriani, e dall’albero della vita e raffigurante Cosroe II tra Ahura Mazda, dio supremo zohoroastriano, e Anahita dea dell’acqua, e nella parte di sotto Cosroe sul suo cavallo preferito, Shabdiz, entrambi cavaliere e cavallo con una fedelissima rappresentazione dell’armatura da guerra.
Nell’altro arco è rappresentata l’ascesa al trono di Ardaashir II, che riceve l’anello simbolo del potere dal suo predecessore o forse direttamente dal dio Ahura Mazda mentre Mitra su un fiore di loto è testimone del giuramento. Sotto ai piedi è una figura che è stata identificata con lo sconfitto imperatore romano Giuliano.
Sui fianchi sono scritte e scene di caccia al cervo e al cinghiale, in cui compaiono anche elefanti, un po’difficili da vedere da lontano, perchè sono più piccoli e i bassorilievi sono naturalmente protetti dal contatto con i visitatori.
E ora trovate l’intruso! Un po’più in lá ecco un altro grande bassorilievo, questa volta del governatore qajaro di Kermanshah nel 1800. Ed è ancora andata bene che non abbia sostituito il suo volto a quello dei re sassanidi, scalpellando e distruggendo come ho visto fare ai qajar in diverse occasioni. D’altra parte è quello che fecero i Barberini &co. dalle nostre parti con i monumenti romani.
La sera il sito è chiuso ma i bassorilievi sono scenograficamente illuminati e brillano riflessi sull’acqua: dopo gli spiedini vale la pena fare una piacevole passeggiata digestiva fin qui.
BISOTUN
Nei dintorni di Kermanshah si trova uno straordinario sito, Bisotoun. Doveva essere un breve percorso in auto, che invece è diventato lungo perchè siamo vicini al confine con l’Iraq e siamo incappati nella folla motorizzata di pellegrini di ritorno da Karbala.
Da quando i rapporti tra Iran e Arabia Saudita sono tesi, quest’ultima ha drasticamente ridotto le quote iraniane ammesse al pellegrinaggio a La Mecca e l’Iran ha risposto dirottando i suoi pellegrini a Karbala, in Iraq, in occasione dell’Arbain, in cui gli sciiti celebrano il martirio del terzo iman.
Questo pellegrinaggio da fatto personale e religioso è diventato un fenomeno sociale, dal momento che lo stato paga tutto, dal dormire al mangiare ai pullman organizzati per chi non vuole andare con la propria auto, ed il viaggio dura anche un mese così che attira file di diseredati, persone che non hanno un vero lavoro e quindi possono permettersi di vagare per così tanto tempo nutriti dallo stato.
Bisotun è un luogo prima di tutto naturalisticamente spettacolare. L’antica via percorsa da Dario è diventata poi il percorso dei mercanti lungo la Via della Seta, che corre sotto a montagne altissime con le pareti a picco, che sono diventate un paradiso per i free climber.
In cima alla montagna c’è persino un piccolo rifugio , una sorta di tendone rosso che appena si intravede ad occhio nudo ed è raggiungibile solo dopo una scalata.
Eppure, e non so proprio come fece, il grande re Dario riuscì a fare dimostrazione della sua potenza facendo scolpire la roccia in alto nel bel mezzo della parete rocciosa a picco. Stando alle testimonianze degli storici antichi, prima di lui questo luogo era stato individuato a scopi celebrativi addirittura dalla mitica regina Semiramide, che aveva fatto scavare alla base della montagna un’ara circolare di 12 metri, dedicata alla divinità corrispondente ad Ercole ora andata perduta.
Ma nel costruire la strada moderna, casualmente, sepolta evidentemente da una frana in questa regione molto sismica, fu ritrovata la suggestiva statua di Ercole scolpita nella roccia che oggi è nuovamente a guardia della montagna e della via.
L’importanza di Bisotun è dovuta però alla grande incisione di Dario in alto sulla montagna, con bei bassorilievi e soprattutto con un scritta cuneiforme trilingue in elamitico, antico persiano e babilonese, che per la decifrazione delle lingue cuneiformi ebbe la stessa importanza della Stele di Rosetta per l’egiziano,con l’ulteriore difficoltà derivante dalla sua collocazione: per secoli, visto che parte della scritta stava oltre un grande crepaccio, non si riuscí a raggiungerla e a trascriverne per intero i caratteri.
Poi vi furono alcune bizzarre interpretazioni delle figure (ad es. Gesù e i 12 apostoli!) Ed addirittura fu usato come tiro al bersaglio per le esercitazioni all’epoca della seconda guerra mondiale, fortunatamente con scarso successo. Nel recente passato ci si è messo d’impegno anche il terremoto, ma la scritta resiste ancora al tempo e agli uomini ed attualmente stanno restaurandola bene, anche se l’impalcatura toglie parte della completa visibilitá al pubblico.
Poi a Bisotun ci sono le testimonianze dei resti dell’antico caravanserraglio, ormai solo rovine, e di un altro caravanserraglio dell’epoca della via della seta, che è stato invece restaurato ed è diventato uno splendido hotel 5 stelle, con tutte le camere a terra affacciate sul cortile interno.
Nel fresco frizzante dell’aria di montagna al tramonto, niente di più suggestivo che bere un delizioso the al cardamomo accompagnato da biscottini ai fichi, con lo zucchero cristallizzato su un bastoncino che lentamente si scioglie girandolo nella bevanda bollente, mentre mi rilasso seduta fra i cuscini sui tappeti di un’accogliente calda sala da the.
E’uno di quei momenti magici in cui capita, senza nemmeno sapere razionalmente il perchè, di sentirsi meravigliosamente bene.
KANGAVAR
Di nuovo on the road. Kangavar è una breve sosta per visitare le rovine del grande tempio di Anahita, la dea zorohastriana dell’acqua. E’una particolarità, perchè fino ad ora avevo sempre visto edifici e rilievi dedicati ad Ahura Mazda, dio del fuoco. Ma questa sosta mi ricorda che la religione zorohastriana associava il divino ai quattro elementi, e con ciò sacralizzava le forze della natura che compongono la vita.
Il tempio di Anahita sorge sulla cima di un’ampia collina, è molto rovinato, e molto sarebbe da ricostruire perchè vi sono pietre e colonne ancora accumulate e numerate. La cosa interessante è la lunga fila di colonne basse e molto larghe che un tempo circondavano tutto il tempio, che doveva essere imponente.
HAMADAN
Hamadan, ultima tappa del mio viaggio, è anche uno dei luoghi più vivaci ed interessanti.
Se la parola non dice niente possiamo usare il suo antico nome: la favolosa Ecbatana, dapprima capitale dei Medi, poi capitale estiva del grande impero persiano, la città descritta da Erodoto come circondata da sette cinte di mura, ciascuna di un colore diverso e le ultime due rivestite rispettivamente d’argento e d’oro.
Con l’anima trepidante di chi si accosta ai luoghi della grande storia tante volte incontrati negli studi, mi aspettavo da Ecbatana meraviglie, e devo dire che inizialmente sono rimasta molto delusa.
L’area archeologica visibile è molto vasta, ma gli scavi effettuati dagli archeologi iraniani sono, per mancanza di fondi, molto frammentari, ed è emersa un’intricata rete di muri che lasciano presupporre l’esistenza di un palazzo molto grande, di cui è rimasto solo il perimetro delle stanze.
Si vedono le traccie di alcune delle cinte murarie, ma si capisce che la città era molto più ampia.
Ma la cosa affascinante è che gran parte di Ecbatana sembra giacere ancora sotto le colline dove finiscono le diverse aree scavate, e chissà quante sorprese può riservare.
Del resto il museo raccoglie fra gli altri degli oggetti straordinariamente raffinati, in gran parte vasellame d’argento finemente lavorato, con sbalzi raffiguranti animali e motivi geometrici come oggi non se ne vedono più di così belli.
Ad Ecbatana arrivò Alessandro Magno con il suo esercito, vi soggiornò a lungo (il tempo di disseminare il Kurdistan di discendenti biondi) e si portò via il rivestimento d’oro e d’argento delle mura.
Qui morì il suo amico fraterno, il compagno d’infanzia e d’armi Efestione, per il quale fu arsa dall’inconsolabile Alessandro una pira immensa; in suo onore fu eretto il monumento funebre con un leone, posto alle porte della città, che è stato ritrovato e collocato al centro di una piazza della città moderna di Hamadan come suo simbolo.
E’ bruttino perchè molto corroso dal tempo, a causa del tipo di pietra friabile utilizzata, ma io sono fatta così, sono affascinata dai simboli, da quegli oggetti tangibili, quei luoghi di sola terra che rinviano ai miti, al passato delle gesta di grandi condottieri che fanno sognare. E cosí resto ad ammirare a lungo il leone consumato che protende il suo corpo in uno slancio come a dire “avanti, ancora avanti”, e ci vedo lo spirito irrequieto di Alessandro e mi commuovo.
Ma Hamadan è anche una bella città, piena di monumenti ma anche molto piacevole e viva; si trova a 1850 metri ed è sormontata da alte montagne che sono già innevate a fine ottobre, dove si può sciare e fare tante attività, L’aria è frizzantina, anzi, per dirla tutta, è proprio fredda, molto diversa dalle altre località fino ad ora visitate.
C’è un lunghissimo, curato viale pedonale alberato, su cui sono state collocate delle sculture raffiguranti mestieri tipici, come la tessitura dei tappeti (il tappeto fatto di piastrelle di ceramica colorata posto su un telaio di metallo sembra vero, bisogna avvicinarsi per scoprire il trucco!), un uomo che serve del the, un barbiere intento a tagliare i capelli ad un uomo.
Al termine del viale una grandissima piazza con edifici ad emiciclo simmetrici che la circondano, e contengono il bazar.
La gente che passeggia per strada è di una tipologia umana un po’ diversa dalle altre zone dell’ Iran, più alta, con corporatura imponente, probabilmente fin dall’antichità, se penso ai due scheletri altissimi di una coppia di sposi sepolti insieme che ho visto al museo di Ecbatana.
Ho visto anche diversi biondi forse discendenti dell’esercito di Alessandro Magno e degli uomini con l’alto cappello di astrakan, appartenenti alla minoranza dell’Arzebaijan iraniano, che qui è consistente.
Infatti vicino agli scavi di Ecbatana sorge la chiesetta di S.Stefano armeno, ancora aperta al culto cristiano di rito armeno officiato per la minoranza etnica dell’ Arzebaijan e Armenia.
Poco lontano dalla piazza del bazar, ecco l’ immancabile Moschea del Venerdì, nel tipico stile persiano di maioliche azzurre e due minareti che a me piace così tanto! Ne visito anche un’altra sullo steso stile, entrando anche all’interno, dall’ingresso riservato alle donne: le moschee sono di solito divise in due parti simmetriche e quando c’è la tomba di un santo viene collocata in mezzo in modo che un lato sia nella parte degli uomini e un altro nella parte delle donne, che vi si accostano sempre con grande devozione manifestata anche con gesti di una certa teatralità luttuosa; del resto rifletto che non esistono vere e proprie feste nella religione sciita, ma una serie di lutti commemorativi di eventi storici legati agli albori della religione musulmana.
Ad Hamadan nel 1037 morì Avicenna, ovvero Ibn Sinà, il grande filosofo, medico, matematico, fisico, astronomo,poeta,musicista persiano.
E’ uno di quei personaggi che nascono una volta ogni centinaia di anni, una mente come quella di Leonardo da Vinci, tanto per rendere l’idea. Non solo il mondo arabo fu permeato dalle sue idee, ma anche tutto l’occidente, attraverso la Spagna e l’Italia meridionale, tanto è che Dante lo cita ammirato insieme ad Averroè nella Divina Commedia.
Persino Komehini non volle cambiare nome alla piazza nonostante fosse uno dei simboli della propaganda nazionalista dello scià, perchè lui stesso era un grande ammiratore di Avicenna. Molti lo considerano il padre della medicina moderna ed in effetti per secoli si è studiato sui suoi testi.
La tomba di Avicenna è una lastra di marmo arabescata collocata al centro di un piccolo interessante museo che raccoglie i manoscritti, le edizioni miniate delle sue opere, gli oggetti da lui usati e quelli commemorativi, e sopra la cupola interna si alza un mausoleo del 1953 dalle alte colonne aperte stilizzate. La visita al mausoleo di Avicenna è un omaggio ad un grande dell’umanità che non può essere mancata.
Interessante da visitare è anche la tomba di Esther, la biblica bellissima eroina e profetessa ebrea che, deportata in Persia, divenne una delle mogli di Serse ed intercesse per gli ebrei su cui pendeva un ordine di sterminio con tanta forza e persuasione da convincere il re a tenerli in grande onore e punire il suo malvagio ministro che li aveva calunniati.
Ho scoperto che questo è il secondo luogo più sacro per gli ebrei dopo Gerusalemme, ed è oggetto di pellegrinaggio anche da parte degli arabi. Entrambi considerano Esther anche miracolosa per le donne che vogliono restare incinte, per la cura del cancro e…per il risanamento dei debiti!
Ad Hamadan è rimasta una comunità ebraica molto piccola, di sole 15 persone, una di queste è il guardiano che ha dedicato appunto la sua vita alla custodia di questo luogo sacro.
Ci apre la porta del mausoleo di 2500 anni fa che è ancora la lastra di pietra originale di 400 kg, con un buco da cui armeggia sulla doppia serratura interna che la fa scivolare sui suoi cardini per aprire la camera sepolcrale. Dentro, tra le pareti ricoperte di scritte ebraiche di quella che funge anche da sinagoga, le due tombe rivestite di ebano di Esther e dello zio Mordechai; il guardiano intona una litania devota baciando più volte nel modo tipico ebraico le due tombe.
Non riesco a sentire lo stesso spirito di sacralità ma sicuramente quella della tomba di Esther è una testimonianza storica molto interessante.
Un terzo monumento funerario è da visitare ad Hamadan: è il mausoleo selgiuchide del XII secolo di Gonbad-e-Alaviyan, interessante soprattutto all’interno, ricoperto interamente di stucchi di gesso che non lasciano un solo centimetro della superficie libera.
Nella cripta si trovano le tombe antiche, rovinate dall’apposizione di luci al neon blu.
Mi dirigo verso i piedi della montagna, a Ganjnameh, là dove parte la funivia verso le distese innevate e dove si trova una fresca cascata scrosciante; in questo luogo così verde e bello, incise sulla roccia a perenne memoria sono due famose e suggestive grandi iscrizioni cuneiformi gemelle di Dario e di suo figlio Serse, in persiano, elamita e babilonese; quella di Serse recita: “Un grande dio, Ahura Mazda, che ha creato questa terra, che ha creato quel cielo, che ha creato la felicità per l’uomo, che ha fatto Serse re, re di molti re, comandante di molti comandanti. Io sono Serse il grande re, il re dei paesi che hanno molti tipi di esseri umani, il re in questa terra larga e grande, il figlio di Dario, Acmenide.”
Proprio così, una grande terra, e il mio un gran bel viaggio di scoperta.
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Che posti incredibili! Complimenti per l’articolo, hai descritto benissimo questa regione che non conoscevo per niente. Bravissima, mi hai fatto amozionare!
hai fatto un viaggio davvero incredibile! 🙂 adoro questi tipi di post, su luoghi non scontati e che davvero fanno scoprire qualcosa! bravissima davvero!
Viaggio molto particolare questo in Iran. Mi è piaciuto molto leggere il tuo racconto e attraverso le foto è come se avessi viaggiato un po’ con te. Immagino quanto ti abbia lasciato dentro un viaggio in questo mondo molto particolare, e credo fatto nel momento ideale, ovvero prima che diventi troppo turistico.
Un viaggio importante in una meta un po’ fuori dal turismo di massa… davvero un racconto molto interessante!
Questo viaggio io non me lo sarei nemmeno immaginato. Quindi grazie di avermi fatto viaggiare insieme a te con questo post. Ho scoperto un sacco di cose assolutamente sconosciute per me.
Avvincente, profondo ed emozionante questo tuo racconto del Kurdistan. Dev’essere stata un’esperinza unica e arricchente che spero di riuscire a fare anch’io prima o poi nella vita.
Complimenti.. dev’essere stato davvero un bellissimo viaggio.. uno di quelli da veri viaggiatori, non da turisti, uno di quelli che riempie il cuore.
Che viaggio incredibile. Uno di quelli che ti lascia dentro mille emozioni difficili da trasmettere ma tu ci sei riuscita. Grazie per averci raccontato un luogo in cui pochi decidono di avventurarsi.
Un’esperienza davvero unica, di quelle che ti lasciano qualcosa di molto profondo dentro. Sono molto contenta di aver letto questo articolo, perchè non conoscevo affatto il Kurdistan, e non potevo neanche immaginare nulla riguardo alla sua geografia, alla cultura, alle tradizioni, alle sue caratteristiche principali!
Ho scoperto così tanto di questa zona che non avrei immaginato. Un viaggio a cui pochi pensano ma che regala davvero tento. Complimenti per la scelta della meta e grazie per avermi aperto gli occhi su una realtà che sottovalutavo!
Un bellissimo post in cui sei riuscita a trasmettere tante emozioni su di un paese che sembra offrire molto ma non è mai preso troppo in considerazione.. eppure a me affascina così tanto
Grazie per averci raccontato un luogo di cui so veramente zero zero zero. Sempre interessante leggere i racconti di viaggio di luoghi meno turistici ma ricchi di aneddoti
Ho letto tutto d’un fiato. Un viaggio che segna nell’anima, tutte queste foto sono ben riuscite a trasmettere le tue emozioni e a farmi immedesimare nella vita locale. è un luogo che vorrei visitare, grazie per averlo raccontato cosi bene
Che bello! Un articolo-racconto completamente interessante. Finalmente leggo di viaggi insoliti, di persone che, anche se gli stanno togliendo tutto ormai da anni, rimangono con il sorriso in faccia. Le persone pure. Bellissimo!