Marrakech – trecentomila palme nel deserto intorno alla piazza che non dorme mai

Marrakech: la città mito degli avventurieri di epoche passate evoca ancora oggi l’idea dell’essenza del  Maghreb: il richiamo dei muhazin che risuona tra gli stretti vicoli  dell’intricata medina, lo sguardo di donne velate, gli anziani in caftano seduti sull’uscio delle case color sabbia, gli odori ed i sapori esotici dei mercati, la vivace confusione festante della grande piazza, i cammelli e le palme,  il the bollente alla menta, il fumo della shisha e gli hammam.

Marrakech, sono qui ancora una volta perchè questa città mi incanta e ad ogni nuovo incontro mi sembra di riscoprirla da capo.

Le mura di argilla

Fuori dai suoi 15 km di mura ocra che la circondano come un  grande fortino di sabbia, torme di motorini fanno la gimcana tra carretti trainati da asini e cavalli, che qui sono ancora un mezzo comunemente usato per il trasporto delle merci. Le mura furono costruite nel XII secolo e poi ampliate mano a mano che cresceva la medina, con materiali del luogo come l’argilla rossiccia e la calce; in alcuni punti sono tutte bucherellate per permettere alla calce che si seccava di non creare screpolature e per fissare le impalcature. Ci sono 8 porte, che prendono il nome delle strade che si dipanano da ciascuna di esse.

I vicoli della medina

Entrati nella medina della città vecchia, è inutile pensare di sapere con esattezza dove si è; sui muri di tanti vicoli che si intrecciano, alcuni dei quali larghi solo quel tanto da consentire il passaggio di una persona, non ci sono i nomi delle strade, e se ci sono sono in caratteri arabi. Si va ad occhio, ricordandosi un particolare che resta impresso all’angolo di una strada dove svoltare, orientandosi con un minareto o una torre all’orizzonte.

Basta dare un soldo ad un bambino per giungere scortati a destinazione, e di guide volontarie qui in mezzo se ne offrono tante, e non è detto che sia una cattiva idea affidarsi a quella che più ispira fiducia, per scoprire degli angoli di Marrakech autentica in cui altrimenti ci si imbatterebbe solo per caso.

Le basse case qui sembrano senza storia, prese in un tempo indefinito, salvo poi guardare la selva di antenne paraboliche che ormai segnano, un po’ caotiche come tutto da queste parti,  il paesaggio urbano. Dietro a portoni modesti però spesso si celano ambienti molto belli arredati in stile tradizionale, cortili alberati di aranci e fontane; è il caso del mio Riad, raggiungibile da una stradina da cui si passa in fila indiana, e dentro una delizia per gli occhi e per lo spirito. In fondo è la stessa filosofia del mondo arabo che tiene racchiusi i tesori, compreso il volto delle donne, per l’intimità della famiglia.

Provare un hammam tradizionale

Mi faccio guidare ad un hammam. Non ad uno turistico che assomiglia ad una Spa dove si possono fare massaggi di coppia, ma ad uno tradizionale, dove gli ambienti sono rigorosamente divisi tra uomini e donne. Qui a Marrakesh l’hammam non è un lusso, è una tradizione popolare e un atto di purificazione religioso, ad es.dopo  un rapporto sessuale o prima della preghiera; per questo spesso gli hammam sono a fianco delle moschee. Sono dei grandi bagni turchi in cui le donne (o gli uomini) prendono posto insieme, nude e in  asciugamano,  e un’addetta (maschio per gli uomini) striglia vigorosamente con scrub profumati, e massaggia con olio di argan, in un turbinio di profumi come menta, fiori di arancio, gelsomino. Nonostante un po’ di imbarazzo iniziale, si esce completamente rilassati.

E’ chiaro come in civiltà nate a ridosso del deserto l’acqua assuma un valore sacro, rituale. Basti pensare alle abluzioni di pedi e braccia prima di entrare nelle moschee. Vicino ad una moschea una fontanella offre “acqua dono della moschea” dove si possono riempire le taniche per le abitazioni che in molti casi sono prive di acqua corrente.

Le case della Medina hanno una seconda vita, libera dalla ristrettezza dei vicoli su cui si affacciano: la distesa delle terrazze sui tetti ocra rende omaggio alla luce del sole e concede una vista sulla città e oltre, sul deserto ed i palmeti. Mi godo lì uno speciale te alla menta con i baklavà.

Le concerie di pelle

Un’esperienza olfattivamente ripugnante, ma di estremo interesse, è la visita ad una conceria. Molte si trovano nella parte nord della Medina, di facile accesso al fiume perchè la lavorazione della pelle richiede tanta acqua. Ancora oggi a piedi nudi uomini lavorano nelle vasche della conceria dove trovano posto ingredienti come calce e cacca di piccione, dove vengono frollate le pelli,  soprattutto quelle di cammello.

La tintura ormai è quasi sempre con pigmenti artificiali, mentre un tempo si usavano henné e altri prodotti naturali. Nel bazar si trovano poi splendide lavorazioni in cuoio, le “marocchinerie” come si usava dire, dalle borse e valigie, alle tradizionale pantofole con la punta ricurva, ai grandi puff policromi.

Una società  tradizionale

Osservo la gente nella loro vita quotidiana. La società sembra ancora più tradizionale di quella dei paesi mediorientali, con le donne copertissime e spesso velate, gli uomini col caftano e la lunga barba. Nugoli di bambini, veri padroni del territorio, giocano a pallone nei vicoli, gruppi di ragazzini dall’aria un po’ strafottente sostano fumando  sui motorini alle porte della medina con la musica cantilenante maghrebina a palla, ma poi li vedo baciare con rispetto la mano di un vecchio, gesto bellissimo che da noi si è perso.

Il souk

Girando per la Medina diretti verso la piazza principale di Marrakech, la Piazza Jemaa el Fna, mi ritrovo ad un certo punto nel souk,  l’immenso mercato dove immergersi in un incomparabile fiume di colori, suoni ed odori. È impossibile uscirne senza avere fatto acquisti, contrattando alacremente come è nella tradizione mediorientale.

Tra i prodotti tipici segnalo l’olio di argan, i profumi artigianali venduti in bottigliette artistiche,  le creme al gelsomino, le spezie di tutti i tipi, i datteri e la frutta secca, i caftani, i lavori di intaglio e intarsio in legno e madreperla, gli specchi, le lampade colorate, gli strumenti musicali, il già citato cuoio, i gioielli d’oro e d’argento, soprattutto i lavori in filigrana.

La moschea Koutoubia

Il punto di riferimento nella medina è l’alta torre del minareto della Koutoubia,  sovrastato da due palle dorate sovrapposte, 77 metri, visibile un po’ in tutta la città, e che utilizzo per orientarmi nel labirinto della medina per arrivare sino alla piazza che è lì vicino. Questa torre moresca meravigliosa  insieme alla moschea è patrimonio dell’umanità Unesco, ed è il più antico monumento della città, risalente al XII secolo. E’ circondata da un bel giardino con palme ed aranci.

Dalla moschea un ampio ma non lungo viale, lungo il quale sostano delle carrozzelle trainate dai cavalli, tutte dorate ed ornate, che sembrano uscite dalla fiaba di cenerentola, conduce sino alla piazza Jemaa el Fna. Pian piano gli odori si mischiano e si fanno forti, le voci, i suoni degli strumenti a fiato e i ritmi delle percussioni crescono di intensità, e ci si trova immersi in un qualcosa di davvero speciale.

La piazza Jemaa el Fna

La piazza Jemaa el Fna non ha pari al mondo per l’atmosfera esotica che vi si respira. E’ stata inserita nel patrimonio immateriale e orale dell’umanità. Badate bene, immateriale, perchè nella piazza non ci sono monumenti speciali, degni di essere ricordati. In questa enorme spianata circondata da ristoranti e caffè con le loro terrazze, ad ogni ora del giorno e della notte regna la più allegra, bizzarra eppure assonante confusione che abbia mai visto.

Di giorno è invasa da coloratissime bancarelle che vendono la merce più varia, ma è soprattutto al tramonto che la piazza diventa speciale.  Vi si possono trovare gruppi di suonatori che ripropongono ritmi tribali con le loro percussioni, mentre i danzatori si esibiscono in balli coinvolgenti. Ci sono cantastorie che tramandano leggende orali che sarebbe bello poter comprendere. Ci sono giocolieri e saltimbanchi, banchi di giochi artigianali come la pesca alle bottiglie.

Ci sono uomini e donne arrivate dalle diverse zone del Marocco, ciascuno con la propria cultura tribale ed i propri vestiti tradizionali, come quest’uomo che gira con un curioso copricapo che all’occasione rovesciato diventa un’ampia cesta, su cui ha trovato dimora permanente un qualche tipo di colorato gallinaceo.

piazza jamaa el-fna

Ci sono incantatori di serpenti di vario tipo, tra cui tre bellicosi cobra. Dietro un’offerta  ti mettono intorno al collo  e sulle braccia dei bei serpentoni innocui, dalla morbida pelle vellutata e dal lento movimento suadente.

Ci sono anche macachi, alcuni liberi e altri tenuti alla catena, ammaestrati a fare capriole e acrobazie varie. C’è perfino un’aquila appollaiata su una spalla, ci sono iguana e camaleonti.

piazza jamah el-fna

Ci sono le donne velate delle tribù del deserto che si offrono di dipingere, con rapidi sapienti gesti, splendidi tatuaggi di hennè, che si possono scegliere da cataloghi di esempi, ma basta affidarsi alla loro esperienza: sono in grado di creare effimeri capolavori che dureranno alcuni giorni, a seconda della qualità della tintura adoperata: l’hennè verde dura meno, quello nero è più costoso e longevo.

Poi c’è la zona alimentare, dove si possono comprare squisiti street food sufficientemente sicuri: ciotole di escargot, retaggio francese;  piatti di tajin, il piatto nazionale di carne di pollo o pesce in umido con verdure e cous cous, cotto nelle tipiche pentole di terracotta berbera con la parte superiore conica; uova sode; spiedini e grigliate fumanti di pollo e pecora; piatti di dolcetti di vario tipo ma tutti a base di frutta secca e miele; l’omnipresente tè alla menta, più zucchero che bevanda, versato bollente (così si sterilizzano anche i bicchierini di vetro da cui bevo per atto di fede) dall’alto da teiere d’argento dal lungo becco. Ci sono i tanti banchi di spremute di agrumi (arance e pompelmi) e di datteri, pistacchi e frutta secca.

Cala la notte, si accende la luna e si accendono le luci dei ristoranti e dei banchi, più i fuochi di alcuni spettacoli, la piazza continua ad essere gremita di gente, e la magia continua senza mai fermarsi.

La Madrasa Ben Youssef

Il secondo giorno inizio ad esplorare i quartieri meno centrali della medina, sul lato nord e sud.

A nord mi dirigo verso il Fondouk di Rue Mouassine, una zona di magazzini e botteghe di artigiani, come del resto suggerisce il nome che deriva dal “fondaco” veneziano. Lì vado ad ammirare la Madrasa Ben Youssef, la scuola coranica più importante del Maghreb, con accanto la moschea dal bel portale. Purtroppo la trovo chiusa per restauro, ma la ricordo dalle mie precedenti visite.

Madrasa Ben Youssef, diritti foto Wikipedia

La Madrasa Ben Youssef è un capolavoro, tutta coperta di zellij, l’equivalente delle azulejos spagnole, maioliche colorate  che formano mosaici artistici policromi, insieme agli stucchi arabescati. Il cortile è dominato dalla bellissima piscina per le abluzioni, e affascinanti sono anche le stanze dove si studiava il corano, visitabili quando la scuola non era in restauro.

Le tombe saadiane

Quasi al capo opposto delle città, dalla splendida porta sud-ovest della città, Bab-Agnaou, dove oggi sono anche presenti i nidi delle cicogne,  si entra nella zona della città che era la kasbah, il quartiere militare, e si arriva alla necropoli con le tombe saadiane, che risalgono al 1500; questa fu un’ epoca di grande splendore per Marrakech sotto la dinastia saadiana, che aveva scambi commerciali con tutto il mondo arabo e con l’Asia, esportando materie all’epoca preziose come sale e zucchero e scambiandole con oro e persino marmo (quest’ultimo dall’Italia) con cui furono costruite queste tombe.

La sala delle 12 colonne è la più bella, era un tempo una moschea poi trasformata in mausoleo.

Le sale colonnate  ricordano molto lo stile arabo-andaluso che conosciamo meglio ma che fu importato in Spagna dai mori di queste parti,  sono tutte stucchi finemente lavorati, tra giardini che volevano simboleggiare il giardino di Allah nel paradiso.

Sia nelle sale colonnate sia nel giardino, per terra è un continuum dove le tombe sono costruite fianco a fianco sfruttando tutto lo spazio, in maioliche smaltate policrome, il cui effetto è affascinante:bianco, verde, rosso, azzurro,ocra, turchese, si susseguono nel creare i disegni geometrici che contraddistinguono le sepolture, tutte rivolte con la testa verso la Mecca. Il rango del personaggio si comprende dalla lunghezza della tomba e dalla sua collocazione.

E qui mi capita una cosa assurda: a causa di alcune infiltrazioni d’acqua, degli operai stanno lavorando a sistemare il pavimento di una parte del giardino, semplicemente eliminando le tessere smaltate di quei capolavori di tombe e sostituendole col cemento, e offrendo in vendita  le tessere, scolpendole a forma di stella con uno scalpellino! Un vero e proprio delitto contro un patrimonio artistico inestimabile.

Fuori dalla medina: l’hotel Mamounia, i giardini Majorelle

Subito fuori dalle mura va visto l’hotel Mamounia, il più famoso hotel di Marrakesh e considerato addirittura il migliore d’Africa. Tra i lussuosi ambienti in stile arabo, i giardini di palme, aranci e bouganville, la spa e la piscina, i quattro ristoranti di lusso e i bar, vale almeno la pena fare una visitina come si farebbe ad un monumento.

giardini Majorelle – diritti foto Wikipedia

I giardini Majorelle sono uno dei luoghi più conosciuti di Marrakech. Nel 1923 il re del Marocco regalò questo terreno al pittore francese Majorelle, che vi piantò semi di piante e fiori provenienti dai suoi viaggi in tutto il mondo, e creò un  giardino molto vario, una sorta di orto botanico dove tutto era etichettato. Al centro del giardino Majorelle creò  delle vasche  piastrellate e il suo studio di pittore, tutto di una particolare tonalità di blu elettrico che prende il suo nome, blue Majorelle. Il giardino divenne proprietà dello stilista Yves Saint Laurent che lo amava così tanto da voler essere sepolto in quel luogo, e fu ampliato, con sezioni diverse e più ordinate rispetto a quella originaria. E’ un luogo tenuto benissimo, che vale la pena visitare.

Diversi edifici importanti si trovano fuori dalle mura..La nuova stazione ferroviaria, in stile arabo moderno combina lo stile tradizionale con l’innovazione. Poi c’è il moderno Palazzo dei Congressi, che ospita insieme 2800 persone.

Trovo bellissimo e molto  originale il Teatro Reale, in una sorta di neoclassicismo arabo.

I quartieri di Gueliz e dell’ Hivernage

Fuori dalle mura ci si può dirigere verso la parte moderna della città, il quartiere francese di Gueliz, che è  un luogo completamente diverso dalla medina, ordinato, con larghe strade commerciali e bei palazzi. Ecco la piazza delle poste, centro della città moderna all’intersezione di due vie dello shopping. Ma ci sono anche zone di casupole piccolissime, quasi baracche,  tutte con antenna parabolica.

Nel quartiere dell’Hivernage sono alcuni dei grandi hotel più famosi, che però secondo me non hanno lo stesso fascino dei riad della medina.

marrakech viale mohammed VI

Si trovano soprattutto lungo il Viale Mohammed VI, il più importante boulevard della Marrakech moderna, lungo 5 km e adornato da molto verde, palme, aranci, fiori, siepi geometriche, fontane e tante bandiere del Marocco. La cura per il verde quasi contrasta con l’immaginario di una città del deserto, eppure Marrakech è anche questo.

300.000 palme

Poi uscendo dalla città si arriva ad un palmeto, che è stato implementato velocemente con un sapiente sistema di irrigazione artificiale e di sfruttamento dell’acqua portata nelle zone prima desertiche. Oggi contiene quasi 300.000 palme ed è il più grande palmeto della catena dell’Atlante.

L”estensione del palmeto è davvero molto grande, e se ci sono le zone dove vengono ad abbeverarsi i cammelli, ci sono quelle dove sono sorte delle lussuosissime ville di uomini d’affare e di personaggi del mondo della moda.

E così, a pochi km dalla medina di Marrakech, alle soglie del deserto, si può passeggiare in un’immensa splendida distesa di verde. Un’altra faccia di questa incantevole città che non smette mai di affascinarmi.

5 thoughts on “Marrakech – trecentomila palme nel deserto intorno alla piazza che non dorme mai

  1. Davvero interessante questo articolo! Mi ha trasportato nel fascino, nel profumo, nelle voci e nei colori di questa città così particolare e intensa, che ancora non conosco. Offre davvero tanto Marrakech..

  2. Ho letto con profondo interesse perché Marrakech è la città del mio cuore. Sono allibita dall’aneddoto del pavimento, che peccato! Alla fine hai comprato un ricordino delle piastrelle?

    1. Avrei tanto desiderato una mattonellina, ma ho resistito perchè questi comportamenti non vanno incoraggiati, anche se so che l’avranno comprata altri. A Lubecca ho comprato una tegola di bronzo dell’antico tetto del Duomo, ma lì era una vendita ufficiale decisa per finanziare il rifacimento del tetto con lo stesso materiale.

  3. Adoro Marrakech e ogni volta ne rimango incantata come riescono a fare gli incantatori con i serpenti della Jemaa el Fna. Gli hammam sono una meraviglia: una vera chicca per chi visita la città.

  4. Ho trovato davvero interessante il tuo articolo e ha gettato luce su alcuni aspetti che mi erano ancora poco chiari. Marrakech mi affascina da qualche anno e spero di andarci presto, c’ero andata vicino l’anno scorso ma poi è sfumato tutto.

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