Dal finestrino dell’ aereo che mi porta in Nepal guardo affascinata le cime innevate delle superbe catene montuose himalayane, che sembrano sorgere dal mare di nuvole, al di sopra del mondo, imponenti, immobili giganti, che richiamano al senso di eternità della natura.
Eppure questi monti si sono mossi, questa terra ha tremato nell’aprile 2015 con una furia selvaggia, e ha mostrato l’altro lato della natura, la fragilità. La scossa di terremoto 7,8 scala Richter ha lasciato dietro di sè 12.000 morti, il patrimonio storico e artistico gravemente danneggiato, il 60% delle case della capitale distrutte, e un Paese, già di per sè fra i più poveri dell’Asia, completamente devastato.
Il dopo terremoto in Nepal
Per questo, a distanza di soli 4 anni, avevo qualche dubbio sull’intraprendere un viaggio in Nepal. Avevo paura che il luogo che nei miei sogni era stato un mito sin dalla mia infanzia, non esistesse più nella sua essenza, che la visita della mitica Kathmandu, che non è più la stessa, mi lasciasse un magone al cuore.
Dopo esserci stata, vi dico con entusiasmo andateci, andateci per una doppia motivazione: perchè il Nepal è bellissimo e perchè ora potete vedere la straordinaria opera di ricostruzione che è stata fatta in così poco tempo da una gara di solidarietà internazionale sotto l’egida Unesco, con maestranze locali incredibilmente abili nell’intaglio del legno e della pietra, nella realizzazione e nella posa di mattoni decorati secondo tecniche di secoli e millenni trascorsi.
Questo aspetto mi ha fatto pensare tanto. Non credo che in Europa oggi riusciremmo più a costruire le cattedrali con quella fede, quello slancio di popolo e quel sapere dei Maestri di bottega che ne resero possibile l’edificazione nel medioevo come cuore pulsante della nostra civiltà. Quando Notre Dame bruciava, tutti sapevamo che non sarebbe mai più tornata la stessa, nonostante la nostra tecnologia avanzata in campo e le somme raccolte, tra tutte le discussioni sull’impermanenza dell’arte in funzione del modificarsi della cultura.
In Nepal, da quello che ho visto, io penso che la ricostruzione del patrimonio culturale, che si sostanzia in gran parte in edifici dall’altissimo valore simbolico religioso, sarà straordinaria soprattutto perchè gli uomini vi stanno lavorando con quella fede e quello spirito che animava i costruttori di cattedrali, quasi che il tempo davvero non fosse trascorso in quei luoghi, e forse con un po’ di quel fatalismo che impregna la cultura nepalese.
Fatalismo, povertà e serenità
Il fatalismo è un elemento molto forte nella religione indù e nella tradizione indiana delle caste, come mi sono resa conto nel mio viaggio in India (e qui l’influsso della cultura indiana è molto forte), ma è anche un ingrediente di una visione della vita molto serena.
Il popolo nepalese è mite, gentile, sempre sorridente, naturalmente rifuggente dalla violenza, nonostante da qui vengano i famosi guerrieri Gurkha, tuttora assoldati sia nell’esercito inglese sia in quello indiano. I nepalesi salutano con “namastè”, che ha il bellissimo significato “riconosco il divino che è in te”, a mani giunte e con un leggero inchino; è il segno della loro religiosità e della loro apertura di credito di fiducia verso il prossimo, anche verso noi stranieri.
La povertà si percepisce forte soprattutto nei villaggi rurali, dove le condizioni di vita sono davvero basilari, ma anche nei centri urbani. Gli stipendi medi sono di 250 euro al mese; il sistema sanitario pubblico è molto arretrato ed altissimo è il tasso di mortalità infantile o delle donne per parto, il sistema scolastico statale è del tutto inadeguato; in entrambi i casi se si vuole trovare un livello migliore bisogna rivolgersi al settore privato, alla faccia del regime “comunista” che caratterizza la giovane repubblica nepalese.
Democratici, Induisti e Buddhisti
Il Nepal è da sempre in una posizione strategica di transito nel cuore dell’Asia, e per questo la popolazione è un crogiolo di etnie diverse; se ne contano ben 69, ciascuna con le proprie tradizioni e la propria identità persino fisiognomica.
E’ un Paese piccolo, 30 milioni di abitanti ed un territorio 150.000 km quadrati, stretto cuscinetto tra i due giganti asiatici: Cina ed India. La monarchia aveva sempre saputo giocare un ruolo di indipendenza ed equidistanza tra le due superpotenze, ma il subentro della repubblica democratica alla monarchia, fortemente sponsorizzato dall’India, ha comportato un forte asservimento del Nepal all’ India. Il re deposto, che vive nel Paese, è tuttora molto amato. Nello stesso tempo però è indubbio che sotto il governo democratico molti passi avanti siano stati fatti per l’eliminazione del sistema delle caste ( almeno sulla carta) e per l’emancipazione femminile.
Che il Nepal sia più India che Tibet è molto evidente. Nel mio ignorante immaginario, assimilavo tra loro le regioni himalayane e pensavo al Nepal come luogo di monasteri buddhisti arroccati sulla vetta dei monti raggiungibili a dorso di lama per tortuosi sentieri a strapiombo. Niente di tutto questo, nonostante si vuole il Buddha storico nato proprio qui in Nepal, i nepalesi sono in stragrande maggioranza (81%) induisti, e solo per il 9% buddhisti.
Peraltro induismo e buddhismo in qualche modo si fondono sincreticamente qui, tanto che diventa persino difficile capire a prima vista se un tempio appartenga all’una o all’altra religione. Ad es. nei tempi buddhisti appaiono diverse figure dell’ìconografia induista e anche Buddha è spesso rappresentato come “Buddha compassionevole”, con molteplici braccia come la dea Khalì. Viceversa nei templi indù compare nel pantheon anche l’immagine di Buddha.
La guida ci spiega che il buddhismo nepalese è molto radicato nel substrato culturale induista, di cui è quasi un’evoluzione filosofica che ne riprende l’aspetto rituale, ed è diverso dall’ascetico buddhismo tibetano, che si trova anche qui nelle chiuse comunità di esuli fuggiti dal Tibet con l’invasione cinese del 1957.
Contraddizioni
Nello stesso tempo qui continuano a vivere tradizioni antichissime fatte di demoni potenti che si compiacciono del sangue e che richiedono sacrifici animali, di dei incarnati in esseri umani a cui rubano l’infanzia, come nel caso della Kumari, la bambina scelta tra migliaia come dea vivente, adorata, truccata e rivestita di sete e gioielli, costretta a vivere segregata in un palazzo da cui si affaccia tristemente alla finestra una volta al giorno, per essere poi ricacciata nella vita normale – ed evitata con la nomea di portare sfortuna – alle prime mestruazioni. Tradizioni da salvare o usanze da abolire come barbare? Non so rispondere.
Terra di sentimenti forti, il Nepal, dai turbamenti che si provano davanti al tempio delle cremazioni a Kathmandu alla commozione che prende di fronte a quelle irraggiungibili cime immacolate. Comunque sia, indubbiamente una terra dell’anima, dove si può fare tanto cammino e dove ci si può fermare anche a riflettere, il che ogni tanto non guasta.
Ciao,
deve essere davvero intenso un viaggio in Nepal. Ricordo anche io quella scossa terribile di terremoto, una devastazione davvero impressionante! Mi fa molto piacere leggere che, nonostante tutto, il paese si sia rimesso in piedi in questa maniera. Una motivazione in più per andare 🙂
È una meta che ho sempre in testa. Quando ci sei stata? Secondo te qual è la stagione migliore? Purtroppo io ho vacanze “comandate” quindi solo dicembre ed agosto.
Anche io nelle vacanze comandate invernali, che secondo me sono un ottimo periodo per il Nepal, temperatura mite e gran parte del tempo soleggiato, a Chitwan il periodo migliore per l’avvistamento degli animali. L’unico rischio è un po’ di nebbia fastidiosa al mattino che impedisce di vedere le cime dei monti.