In Nepal, nella valle di Katmandu, strette l’una all’altra a formare quasi un’unica città, sono ben tre antiche capitali reali del medio evo: Katmandu, Bhaktapur e Patan. Tuttavia Patan è molto più antica, risale al III secolo a.C, quando la leggenda la vuole fondata dal re Yalambar.
Patan veniva anche chiamata Lalitpur, cioè “città della bellezza”, perchè davvero il suo cuore antico è talmente ricco di monumenti e splendidi palazzi, tra cultura indhu e buddhista, da lasciare letteralmente a bocca aperta, ancora oggi dopo la devastazione lasciata dal terremoto del 2015. Non per niente, Patan è patrimonio dell’umanità UNESCO.
DURBAR SQUARE DI PATAN
La piazza principale di Patan, come quelle di Katmandu e di Bhaktapur, si chiama Durbar Square, dove si trovano il palazzo reale e decine di templi e stupa. Qui gran parte degli edifici risalgono al XVI secolo, durante il regno di Siddhi Narsingh Malla, primo re della dinastia con capitale a Patan.
Per entrare nella piazza gli stranieri pagano un biglietto, anche se la piazza è talmente grande, con diverse strade che vi accedono, che mi sembra piuttosto facile entrare mischiati ai grandi flussi di locali. Ma mi sembrerebbe davvero un delitto sottrarsi a contribuire ai costi di ricostruzione di questo immenso patrimonio artistico, che viene rimesso su pietra su pietra, fino a tornare ad essere oggi quasi come prima del terremoto.
Sono stata particolarmente fortunata, perchè la ricostruzione di alcuni degli edifici principali è terminata proprio pochi mesi fa; ho visto le fotografie della piazza subito dopo il terremoto, con gran parte dei monumenti ridotti in detriti o parzialmente collassati, e vederla adesso di nuovo così mi sembra un vero miracolo, frutto della cooperazione internazionale ma anche dell’amore e della fede dei nepalesi.
IL PALAZZO REALE
Il palazzo reale occupa tutto un lato della piazza, ed è un magnifico edificio newari con preziosissime parti scolpite nel legno con intricate figure di dei e mostri.
Tra le curiosità la scultura di un demone (che ricorre in altri palazzi della cultura newari) che uccide gli uomini facendoli ammalare in vari organi (qui l’intestino) e strappando loro tali parti dal corpo.
La particolarità di questo e degli altri monumenti della piazza è che non sono solo testimonianze del passato, ma elementi vivi di culto, e buddhismo ed indhuismo si fondono e confondono. Così ad es. diverse statue di divinità sono oggetto di venerazione e sono tutte spalmate di rosso, il colore sacro indhu.
Il pantheon indhu è complesso, e anche la sua iconografia è spesso difficile da seguire in pieno, ma sarebbe bello poter apprezzare tutti i ricchissimi dettagli delle divinità, dei loro animali vettori, delle vicende mitiche ed epiche che legano dei e uomini.
Tre sono le porte d’accesso del palazzo che portano ad altrettanti cortili.
La prima è la “porta d’oro”, un portale monumentale su cui è posto un timpano finemente cesellato.
La seconda porta è d0rata anch’essa e sopra di essa si apre una finestra d’oro. Ai suoi lati due grandi leoni di pietra fanno la guardia al palazzo.
L’ultima porta è sorvegliata ai lati dal dio scimmia Hanuman e da Vishnu.
Ad ogni porta corrisponde un cortile interno; il più bello è la corte Sundari Chowk, che custodisce un vero capolavoro di pietra scolpita, la grande fonte lustrale per i bagni reali, chiamata Tusha Hity; la vasca scende sotto il livello del cortile attraverso degli scalini e le sue pareti sono interamente ricoperte di pannelli di pietra con sculture di scene tantriche, mentre ai lati corrono due lunghi serpenti di pietra che la circondano; anche questa meraviglia è stata seriamente danneggiata dal terremoto ed ora è completamente restaurata.
In diversi ambienti del palazzo sono ancora ammucchiati i pezzi di pietra o legno recuperati dalle macerie, numerati e riposti per essere ricollocati; mi ha particolarmente colpito un’installazione fatta con decine di mani di pietra delle statue delle divinità mutilate dai crolli.
Nel palazzo reale è custodita nei piani superiori una ricchissima collezione museale di sculture e manufatti antichi, soprattutto del buddhismo nepalese. E’ interessante leggere le dettagliate spiegazioni attorno ad ogni pezzo, che fanno comprendere il forte valore simbolico di ogni gesto ed ogni diversa espressione rappresentata sulle statue di Buddha. Così scopro ad es. Che il Buddha rappresentato qui spesso con 8 braccia non è una trasposizione di una divinità indhu, ma il Buddha della compassione.
I TEMPLI DI DURBAR SQUARE
Tra i templi che affollano la piazza il più importante è il Krishna Radha Mandir. Trae l’ispirazione da uno stile indiano ma è unico nel suo genere, con belle sculture che affiancano la scalinata al primo e al secondo piano e rilievi che narrano le storie del poema epico Mahabharata e del Ramayama.
Il tempio Bhimsen è una pagoda a tre piani, dedicata all’eroe del Mahabharata, adorato qui come dio degli affari e del commercio leale. E’ appena stato riaperto dopo la ricostruzione ed è un luogo di culto indhu a cui gli stranieri non sono ammessi.
Di fronte al tempio si trova un’alta colonna con la statua bronzea del re Bhupatrinda Malla, che medita su un fiore di loto all’ombra di un cobra, sulla cui testa è posato un uccello, simbolo dell’immortalità. La colonna era crollata ed è stata ricostruita, ma la statua, appunto immortale, si era fortunatamente salvata.
Il tempio Vishwanath è dedicato al dio Shiva, ed è sorvegliato da due grandi elefanti di pietra, vi sono rappresentate anche scene erotiche mentre al suo interno di trova uno shiva linga, cioè una pietra a forma di fallo.
Sulla piazza è collocata anche una grande campana, che serviva ad avvisare gli abitanti dei pericoli imminenti, e che oscillò senza cadere durante il terremoto.
Ad un’estremità della piazza Durbar è un piccola struttura interamente ricostruita, un’antica pedana sopraelevata , sormontata da pilastri con una tettoia, che serviva per la sosta e il ristoro dal sole dei pellegrini. E’ uno dei luoghi simbolo della tragedia del terremoto, perchè crollò in pochi secondi, uccidendo moltissime persone che vi stavano sedute.
IN GIRO PER LA CITTA’ VECCHIA
Intorno alla Durbar Square si stringe la città vecchia, bella da visitare a piedi, con la sorpresa dei suoi palazzi antichi su stradine spesso nemmeno lastricate, con i suoi tanti templi che sbucano all’improvviso, punti di interesee spesso nemmeno segnati sulle guide, con le sue botteghe artigiane che producono manufatti di buona qualità e il suo viavai di coloratissima umanità.
Ad una antica fonte pubblica diverse persone sono intente a lavarsi e a fare il bucato.
Se Durbar Square, il salotto buono della città. è stato subito curato dalle ferite del terremoto, non si può dire la stessa cosa del centro, dove tante sono ancora le macerie o le case ancora tutte puntellate. Qua e là sui tetti cammina e salta arditamente qualche scimmia.
IL TEMPIO D’ORO DI PATAN
Attraverso le viuzze del centro, non lontano dalla piazza Durbar, arrivo al Tempio d’oro, “Hiranya Varna Mahavihar”, così chiamato per le decorazioni dorate della sua facciata. Buddhista ma con tanti richiami all’indhuismo, è secondo me il più bell’edificio religioso di Patan, ricco di misticismo e di tradizione.
Il suo interno ha come cuore un cortile intorno al quale sono collocate moltissime piccole ruote di preghiera, ed i fedeli fanno il percorso in senso orario facendole girare interminabilmente, come l’universo ed il ciclo della vita.
Al centro del cortile un sacello con figure di draghi ai quattro angoli. E ancora tutto intorno nel tempio demoni e dei, scimmie, elefanti, decorazioni intricate, e tanto oro:uno spettacolo!
Al piano di sopra sono i locali usati dai monaci per pregare, certamente più raccolti.
Sacerdote custode del tempio è un bambino dagli 8 ai 12 anni, il Bapacha, che viene offerto a turno per un mese da tutte le famiglie buddhiste di Patan, e indossa particolari ricchi abiti tradizionali, presiedendo alle cerimonie. Durante questo periodo non può cambiarsi i vestiti e non può lavarsi.
Mentre sono nel Tempio d’Oro all’improvviso sento un gran frastuono di percussioni e fiati, e poi il canto di una processione di uomini e donne in costume, che avanzano nella corte spargendo riso e petali rossi davanti alla statua della divinità. Tutti accompagnano una signora molto anziana, riccamente vestita. Mi viene spiegato che è una particolare usanza del luogo, una cerimonia di ringraziamento e di propiziazione, al compimento dei 73,83,93,103 anni., Ad arrivarci, visto che qui la vita media non tocca i 70 anni.
CAMPANE TIBETANE
Uscita dal tempio, mi fermo ad acquistare delle marionette che rappresentano la kumari (la dea bambina vivente), e un demone rosso dall’aspetto feroce.
Entro poi in un laboratorio che realizza alcune tra le migliori “campane tibetane”, anche chiamate “singing bowls” o “healing bowls”. Le campane tibetane non sono campane ma ciotole di una particolare lega, realizzata con oro, argento, mercurio, rame ferro, stagno. piombo, ciascuno legato simbolicamente ad un corpo celeste. Ve ne sono di tutte le dimensioni e qualità, e la differenza di suono è piuttosto evidente.
Le campane tibetane, percosse con dei martelletti coperti di feltro, emettono un suono che si propaga con una vibrazione simile a quella della parola sacra Ohm, e si ritiene che aiutino il rilassamento e la meditazione, che curino anche l’emicrania se fatte vibrare ponendole intorno alla testa, e che riequilibrino ciò che deriva dallo scompenso dei chakra.
Possono anche essere riempite d’acqua, e la vibrazione che ne deriva quando sono percosse con un diverso marteqlletto fatto scivolare lungo il bordo, fa ribollire l’acqua che può anche essere usata per massaggiare i piedi. Quasi quasi, visto che ho camminato tutto il giorno senza fermarmi, faccio subito l’esperimento!