In primo luogo l’Iran, e questo secondo viaggio me l’ha confermato, è un posto dove si gode di una netta sensazione di essere bene accolti, di quel senso antico dell’ospitalità che ormai è raro trovare; gli Italiani sono amati; mai una molestia (forse il mio viaggiare con una bambina così piccola mi faceva vedere più come mamma, che nella cultura locale ha ancora un senso di sacralità, che come donna e mi forniva protezione, ma non penso che sia solo banalmente questo), mai uno sguardo ostile o una parola antipatica, mai indifferenza, ma al contrario tanta gentilezza, desiderio di scambiare idee, di comunicare e di essere d’aiuto, persino tanti piccoli regali, abbracci e baci alla mia bimba.
In secondo luogo l’Iran mi dà sicurezza. Nel tormentato panorama mediorientale, che rende praticamente invisitabili tanti meravigliosi Paesi, va ricordato che l’Iran non è un Paese arabo, la religione è sciita e non sunnita, non solo non c’è la minima traccia di terrorismo islamico (e l’Iran è impegnato tanto nella lotta all’ISIS, quanto nel contrasto ai traffici di droga), ma in aggiunta c’è un controllo sull’ordine pubbblico interno fortissimo, le pene anche per i reati comuni sono severe e quindi la criminalità è a livelli bassissimi: girare per le città anche la sera è più sicuro che in Italia.
L’embargo sta finendo e pian piano l’economia risorge e fa investimenti importanti per aprirsi al mondo e affrontare le sfide del futuro.
Tutto questo da solo non basterebbe. Il punto principale è che l’ Iran è terribilmente bello, ricco di una storia stratificata nei millenni, e per questo molto vario e sempre soprendente anche nei luoghi meno battuti dal turismo, ed è un luogo dove si coglie un forte fermento di vitalità, certo stretto in mille contraddizioni tra modernità e tradizione, ma ad ogni modo un Paese a cui dare fiducia.
L’Iran sta facendo uno sforzo per aprirsi al turismo, ad esempio hanno disposto che tutti i nuovi alberghi siano esenti da imposte per 13 anni, o ancora per il visto, al contrario di poco tempo fa, ho potuto fare la fototessera senza velo.
Questa volta ho scelto un itinerario più insolito, sulla via del deserto e delle città carovaniere, dai castelli di fango ai luoghi sacri zorastriani.
A conferma della piacevolezza di Kashan mi immergo nel verde del giardino Bagh-e Fin, un giardino all’araba così fascinoso da essere inserito nel patrimonio dell’UNESCO, che è un gioiellino di armonia ed equilibrio climatico, tra padiglioni decorati e viali con specie diverse di piante e fiori e tanti canali d’acqua, curato con grande sapienza e scrupolo, ed è noto perchè nell’hamman fu fatto uccidere dalla madre del sultano un famoso ministro che per le opere pubbliche aveva depaurerato le casse della corona.
Imperdibile è anche l’hamman tradizionale del XVI secolo Sultan Amir Ahmad, molto ben restaurato, con gli spogliatoi accoglienti ricoperti di decorazioni e tappeti, i vari locali per i bagni caldi e freddi per uomini e donne, le vasche e i muri ricoporti di belle maioliche policrome e le volte con lucernai colorati contenenti lenti convesse per illuminare meglio i locali; è bello salire sul tetto e vedere tutte le sagome tonde delle cupole e godere della vista pittoresca sulla città.
Termino la visita di Kashan con il bazar, piccolo a confronto con quello di Isfahan, ma molto genuino, privo di souvenir e invece ricco di prodotti autentici, quali spezie di tutti i tipi, tisane, lane per i famosi tappeti di Kashan, biscottini al cocco e manufatti di ceramica (ho notato una sorprendente similitudine con l’artigianato tradizionale sardo, chissà che non vi sia una comune origine). Gli ambienti sono molto piacevoli, tra portici, ed edifici storici che vi si affacciano, quali caravanserraglio, moschea, hamman. Resisto alla tentazione di caricarmi di oggetti sin dal primo giorno ma me ne pentirò, perchè non ho ritrovato altrove la particolarità delle ceramiche di Kashan. Mi consolo con un piccolo profumo oleoso al gelsomino e un altro alle rose, una specialità di questo luogo, distillato dai fiori freschi conuna sorta di alambicco di rame.NA’IN
La sosta a na’in è rapidissima, più che altro per la suggestione evocata dai suoi arcinoti tappeti, ma in realtà la cittadina, piuttosto piccola, non ha molto da offrire, se non il sistema dei canali sotterranei e la nota Moschea Jame, una delle più antiche dell’Iran, elegante ma sobria, con un minareto ottagonale e un cortile caratterizzato da un bellissimo gioco di mattoni differenti sulle 14 colonne del porticato. Peccato non poter visitare l’interno a causa della preghiera in corso.
MEYBOD
Sulla strada verso il deserto, c’è tempo per una breve tappa a Meybod, un’antica città dalle molte case dai mattoni di fango e paglia, attualmente in lista per il riconoscimento da parte dell’UNESCO. Come prima cosa mi fermo a gustare un bel succo fresco di melograno: in Iran c’è grande produzione di questo squisito frutto dalle proprietà antiossidanti, e ci sono bar dedicati solo alle spremute di melograno, che vanno gustate entro pochi minuti, altrimenti si ossidano e cambiano sapore. A Meybod ci sono alcuni monumenti interessanti, tra cui la “torre dei piccioni”, una specie di ufficio postale ante litteram dove un tempo venivano allevati migliaia di piccioni (oggi è un sito statale e vi sono p oche decine di piccioni) che servivano per le comunicazioni, mentre il guano veniva raccolto e usato per fertilizzare giardini ed orti; c’è poi la “ghiacciaia”un edificio con 4 torri del vento per la refrigerazione, dove veniva conservato per l’estate il ghiaccio prodotto d’inverno.
Nel caravanserraglio, niente di particolare di per sè, trovano collocazione alcune botteghe di artigianato tipico, dove acquisto una graziosa tovaglia di un tessuto con disegni arabescati dorati che è tipico di qui, e non so resistere a farmi immortalare insieme alla mia bimba in abiti d’epoca, intente a suonare il sitar e a portare una brocca d’acqua.
Ma la vera attrazione di Meybod è il castello di Narein, imponente e articolata costruizione esclusivamente di mattoni di fango, che si erge da oltre 2000 anni, anche se c’è chi dice che la sua parte più antica risalga addirittura a 6000 anni fa. Inerpicandosi sulla sua cima si gode uno spettacolare panorama sulla città, molto romantico con i suoi colori di sabbia delle case tradizionali, le sue torri del vento ed i suoi minareti, e fin sul deserto che la circonda. Arrivare in cima al calar del sole è molto suggestivo, perchè l’orizzonte del tramonto è vasto e nell’aria si diffondono i canti dei muezzin che invitano alla preghiera.
IL DESERTO DASHT-E KIVIR
Il deserto Dasht-e Kivir dell’Iran è molto vasto e vario. In alcuni punti è il classico deserto dell’immaginario fiabesco,con le dune di sabbia fine, in altri è quasi paludoso con grosse croste di sale, in altri infine è di una sabbia dura e compatta che sembra una steppa da cui spuntano qua e là radi arbusti, come nel caso della zona del Matin Abad Desert Camp, il campo ecocompatibile in cui ho deciso di fare base. Non ci sono quasi mai piogge e può essere molto caldo di giorno (sono stati registrati fino a 70 gradi!) e freddo di notte, ma io sono stata fortunata: nel Matin Abad la temperatura era molto gradevole di giorno perchè al riparo da un lato da alte montagne e con l’aiuto di una bella coperta ed una stufetta nella tenda non ho sofferto il freddo. Nella tenda vengono distesi dei sottili materassini, che sono quasi inesistenti e sembra di domire sul nudo suolo, me l’atmosfera è molto fascinosa.
La cena, a base di prodotti locali in gran parte autoprodotti è il primo dei pasti quasi uguali, rappresentativi del sud est del Paese indubbiamente più povero rispetto alle grandi città, che mi hanno accompagnato in tutto il viaggio: 1)kebab di agnello, che non è il doner kebab turco a cui siamo abituati, ma pezzi arrostiti di agnello in formato da spiedino; io non mangio agnello e ho dovuto ripiegare sul surrogato di pollo 2) riso in bianco con una piccola spolverata di zafferano sulla cima per dare colore 3)ottima crema di melanzane o melanzane sfilacciate con spezie e pomodoro 4)bevanda nazionale: dough, a metà tra lo yogurth salato e il siero delle mozzarelle, che personalmente ho trovato squisito. La birra è rigorosamente analcolica per motivi religiosi, ma mediamente migliore delle birre analcoliche che si trovano in Itali 5)i dolcetti sono quelli classici del bacino mediterraneo, baklava e dolcetti vari col miele, ma raramente si trovano offerti negli hotel, dove ci si può consolare con confetture molto genuine, tra cui una fantastica confettura di carote gratugiate a striscioline. Il risvolto piacevole della medaglia è il costo: poco più di 5 euro a pasto completo.
Purtroppo c’è molto inquinamento luminoso, per via di un piccolo centro abitato non troppo lontano, e soprattutto perchè è quasi luna piena, e la vista del cielo stellato è quasi un miraggio; la passeggiata notturna in quella distesa di sabbia sterminata però è ugualmente interessante. E’ bellissimo anche al tramonto prendere un tè alla cannella, con un cesto di datteri, seduti sui tappeti sotto una tenda di tulle al limitare del deserto, e restare a chiacchierare nell’accampamento la sera, con i gentilissimi turisti iraniani; facciamo amicizia con una famiglia deliziosa, il cui papà ha frequentato una presitigiosa università italiana e ha continuato a mantenere i legami con il nostro Paese mandando il figlio a studiare in Teheran nella scuola italiana; ci colpisce apprendere l’altissimo livello di scolarizzazione universitaria, soprattutto in materie scientifiche ed economiche, della popolazione iraniana, e i forti investimenti in start up innovative e ricerca ad alto contenuto tecnologico.
Alla mattina, con una piccola carovana multietnica di viaggiatori, partiamo per una cavalcata a dorso di cammello nel deserto; sono cammelli ad una gobba sola, quelli che noi chiamiamo dromedari (lì invece hanno un nome unico); l’animale si rivela forte, mite e stabile, e mi fa tanta tenerezza un cammellino che segue la mamma cercando di succhiare un po’ di latte durante il percorso.
YAZD
Dopo una mattinata nel deserto è tempo di partire alla volta di Yazd, un incantevole gioiello senza tempo, città carovaniera che è stata ricca senza volere mai essere politicamente potente, e che forse per questo, forse perchè in qualche modo protetta dal deserto, si è preservata intatta nonostante le invasioni che hanno devastato nei secoli il Paese.
Yazd è il principale centro dello Zoroastrismo, e conserva alcuni luoghi sacri di questa religione di straordinario interesse, in particolare le “torri del silenzio” e il “tempio del fuoco”.
Le torri del silenzio sono luoghi elevati , circondati dal deserto, in cui gli zoroastriani abbandonavano i cadaveri , considerati impuri, perchè venissero divorati dagli avvoltoi e non contaminassero la terra, uno dei quatrro elementi sacri della religione insieme al fuoco, all’acqua e al vento. Il termine torre aveva tratto in inganno la mia immaginazione: ci si trova davanti a degli altissimi colli a picco su cui sono costruite delle mura circolari di argilla entro il cui spazio c’è una piattaforma con tre cerchi concentrici, inclinata verso l’interno, dove venivano depositati i cadaveri esposti al vento. alla base dell’altura vi sono delle millenarie costruzioni di fango in cui venivano ospitati i parenti del morto per officiare il rito. Oggi, nonostante in Yazd permanga un’importante comunità zoroastriana, questa forma di rito funebre è vietato per ragioni igieniche e gli zoroastriani vengono normalmente sepolti, con il simbolo della loro religione sulla tomba quale unico riconoscimento.
Il tempio del fuoco esteticamente non dice nulla, è un edificio ottocentesco che asomiglia ad un mediocre teatro di provincia, ma ciò che è emozionante è il suo contenuto: un braciere ove arde ininterrottamente da oltre 2500 anni lo stesso fuoco. In occasione di ogni pericolo di invasione, i seguaci trasporono al sicuro i tizzoni ardenti in montagna, per poi ricollocare il fuoco al suo posto. Dà il senso della continuità e nello stesso tempo della relativa brevità della storia, della catena umana nei millenni, e francamente commuove e impone rispetto.
In un ex orfanatrofio di Yazd trasformato in museo dello zoroastranesimo è possibile comprendere le credenze e i riti di questa antica fede, che fu la potente religione dell’Impero Persiano. Il pensiero zoroastriano è interessante, improntato ad un monoteismo religioso, anche se temperato dalla sacralità divina dei quattro elementi eterni, ma anche ad un dualismo etico molto forte che vede la perenne lotta del bene e del male nell’animo umano così come nell’universo, e l’esigenza per il credente di agire con “Buoni pensieri, buone parole, buone opere”. E’ una religione molto paritaria tra uomini e donne, che mal si concilia con il contesto religioso e culturale che oggi si trova ad affrontare; è anche molto attenta al rispetto della natura che è sacra e ai cui ritmi sono dedicate le principali festività zoroastiane, e condanna l’oppressione di altri esseri umani; non viene fatto proselitismo ma a 15 anni i ragazzi vengono chiamati a scegliere quale religione intendono seguire, e la maggior parte di loro continua nella tradizionale religione zoroastriana.
Yazd non è molto grande, circa 500mila abitanti, e conserva un fascino antico. La città è situata in una zona arida e calda, e quindi l’approvvigionamento idrico è legato ad una complessa rete di canali, qanat, e la refrigerazione a centinaia di torri del vento che caratterizzano inconfondibilmente lo skyline. Il centro storico è fatto da una miriade di tranquille stradine che si intrecciano tra le case gialle di sabbia e paglia compressa, tra cui giocano frotte di bambini in bicicletta come era nei nostri paesi non tanto tempo fa. Circondano la mia bimba, la scortano gioiosi mandandole baci che lei ricambia con entusiasmo, si presentano e stringono la mano, si vogliono far fotografare con lei e le regalano una caramella, mentre poco oltre una pasticceria la chiama dentro e le offre un vassoio di dolcetti. E’ un peccato che qui non si sia attenti ai dettagli, che potrebbero rendere completa la bellezza; la città è mediamente più pulita di quelle italiane, non c’è dubbio, ma si trascura sempre qualcosa, il tubo o il filo scoperto, il residuo dei lavori edili abbandonato in un angolo, la vernice che straborda sulle porte quando sarebbe bastato un pezzo di nastro adesivo per delimitare i contorni, come se tutto avesse principalmente uno scopo pratico e non anche estetico.
La città vecchia ha una gemella parallela che vive sui tetti: una serie di terrazze a più livelli, di cupole e scalette che sormontano tutte le case, da cui si gode una splendida vista, magari seduti in uno dei tanti localetti dove si serve un ottimo tè con dolcetti o il caffè al cardamomo. Quando, quasi all’ improvviso, cala la notte, la città di accende di una luce calda, riflessa dal giallo delle case, mentre i minareti sono illuminati da neon verdi e azzurri, e un po’ di brezza ancora calda accarezza le terrazze, dando una sensazione di grande serenità.
Una menzione per l’albergo, il Moshir al-Mamalek, che è un piccolo monumento di per sè. con le sue stanze in stile tradizionale che si affacciano sui suoi vasti giardini con vasche d’acqua e canali, una coppia di magnifici pappagalli ara liberi, ed un ottimo buffet.
Sono giorni speciali per gli sciiti, perchè sono in corso le grandi celebrazioni dei “giorni del lutto”, che ricordano il martirio dell’iman Hussein nel 680 d.C: le città sono piene di drappi neri con versi del Corano, di nero sono vestite non solo la molte donne ma anche gli uomini, vi sono cortei con autoflagellazioni simboliche, chi può offre ai poveri (che devono essere numerosi perchè accorrono in bus dalle periferie per tornare alle case con una scatola termica contenente un pasto) tè e cibo. Molti negozi chiudono di giorno per aprire solo nel tardo pomeriggio. L’immagine quindi è un po’ sfalzata rispetto all’ordinaria quotidianeità. Nonostante ciò, poichè questaricorrenza dura diversi giorni ed è propria di tutto il Paese, posso osservare delle significative differenze tra Teheran e le città del sud, in particolare Yazd: sembra, e la guida me lo conferma, che Yazd e Kerman siano città particolarmente religiose e tradizionaliste, perchè al contrario della capitale in cui è quasi raro trovare ragazze interamente vestite col chador, qui la grande maggioranza delle donne adotta il lungo abito nero, stringendosi quasi in esso con le braccia, per quello che sembra un sincero pudore; l’età ufficiale per il velo delle bambine è 9 anni, ma mentre a Teheran abbiamo visto dodicenni e forse più ancora con i capelli sciolti, qui non è raro vedere bambine di 5-6 anni con il fazzoletto nero in testa. Anche in questa differenza sta la sensazione che l’Iran sia un po’ un Paese a due marce, dove le grandi città e la provincia sembrano avere uno stacco di mentalità forte tra loro.
Il cuore di Yazd è il complesso Amir Chakhmaq, una grande piazza con un’imponente complesso comprendente una moschea con due altissimi minareti, un caravanserragio, una cisterna d’acqua, uno stabilimento termale. L’edificio è a tre piani con una serie di archi sovrapposti ed è di per sè molto scenico con le sue lunghe vasche d’acqua vhe percorrono tutta lo spazio antistante , inoltre la piazza è in questa settimana il cuore delle celebrazioni dei “giorni del lutto”, per cui è molto suggestivo vederla gremita di uomini e donne vestiti di nero, mentre si elevano dagli altoparlanti continue musiche sacre. Di sera poi si aggiunge il fascino delle luci colorate che dipingono di giochi arancioni il complesso. Una curiosità: la sera non è raro trovare in questa piazza ed in vari giardini gruppi di persone che fanno picnic; addirittura in un parco giochi abbiamo visto delle piccole tende dove lavoratori pendolari o famiglie con bambini che cercano un diversivo si accampano per una notte; la guida scherzando riferisce che in Iran c’è il detto che il picnic sia lo sport nazionale.
Il complesso della cisterna di per sè non dice molto, ma al suo interno è collocata una piccola suggestiva palestra circolare dove si possono ammirare ancora gli antichi strumenti di allenamento, quali clave di legno e catene con vari pesi.
La più bella moschea di Yazd, che è anche una delle più importanti in Iran tanto da essersi meritato un posto sulle banconote, è la Moschea Jame, la moschea del venerdì, scintillante di maioliche arabescate azzurre che si intrecciano in splendidi mosaici, con due alti e sottili minareti, l’interno ricoperto di ricchi tappeti e tutto colorato anch’esso con maioliche policrome, di notte dà il suo meglio tutta illuminata di blu, come un faro per la città.
Visito un famoso giardino, il Dowlat Abad, bell’esempio di villa con giardino persiano, ma un po’ decadente, nonostante sia patrimonio UNESCO, perchè alcuni alberi sono secchi e i qanat non perfettamente puliti. La cosa più interessante è il palazzo con belle vetrate e un’altissima torre del vento che crea una differenza di 10 gradi con l’esterno.
MEYMAND
Lascio Yazd alla volta di Kerman, percorrendo una strada sul margine del deserto. Lungo il cammino, deviando in una strada secondaria un po’ mal messa, in un’area remota e montuosa, mi fermo in un posto unico, molto poco conosciuto dai turisti, ilvillaggio troglodita di Meymand. E’ qualcosa di simile a Matera o alle abitazioni rupestri della Cappadocia, anche se più in piccolo: circa 400 caverne, ormai quasi del tutto disabitate; i giovani sono andati via, restano solo una ventina di abitanti, tutti anziani, e quindi lascia un po’ un groppone in gola l’evidenza che forse questo posto probabilmente scomparirà tra 10 anni. Gli insediamenti umani a meymand sono molto antichi, c’ traccia di presenza preistorica risalente a 12000 anni fa, ma certamente le grotte sono abitate da almento 3000 anni. Chissà quali contaminazioni antropologiche vi sono state qui nell’antichità, se una particolarità degli abitanti di Meymand sono gli occhi azzurri, e una straordinaria longevità (il più vecchio abitante ha 115 anni), nonostante un clima rigidissimo durante l’inverno e una vita molto povera. Sarà forse merito dell’astragalo, un’erba da cui si ricava una bevanda medicinale sacra? O magari della dietra quasi vegetariana, a base di yogurth e zuppe di legumi? Riescono ancorsa a sostentarsi con la pastorizia ed il piccolo commercio dei loro prodotti tipici, che sono i bianchi tappeti e coperte di lana pressata con rudimentali disegni di colori naturali, cappelli di feltro e una grande varietà di erbe che vengono usate sia come tisane che come rimedi naturali per diversi mali. Le abitazioni sono di una o due stanze, i pavimenti di terra battuta sono coperti da tappeti e cuscini, ormai arriva la corrente elettrica; una caverna è stata persino trasformata in una guesthouse, per chi vuole provare l’emozione di dormirci. Veniamo invitati a sedere in una caverna dove ci viene offerto il tè (che in realtà è una camomilla raccolta sul luogo), piccolissimi dolci datteri, una polvere di nocciole e spezie da mangiare col cucchiaino, e ci vengono mostrati i manufatti; più che altro per non andarmene a mani vuote compro una pesante copertina di lana battuta, che non so come potrò usare perchè puzza terribilmente di pecora, ma è però un piacevole ricordo di questo luogo senza tempo.
KERMAN
Eccoci arrivati nel profondo sud-est, a Kerman, una delle più antiche città dell’Iran, sulle vie carovaniere, il cui nome, così come Na’in, mi evoca soprattutto il ricordo dei più bei tappeti persiani, ma che è molto di più, una vitale ed interessante città, con un clima fresco e gradevole a causa dell’altitudine (senza accorgercene siamo arrivati a 1700 metri) e le montagne alte fino a 4000 metri che la circondano. Il suo cuore è, specialmente nel tardo pomeriggio quando sembra risvegliarsi dal sonno postpranziale, l’antico e variopinto bazar, che si estende per molti kilometri e che in realtà deriva da una serie di bazar più piccoli che si sono nel tempo espansi ed uniti. Il più bello è quello chiamato Ganj Alì Khan, che si apre sull’omonima grande piazzza porticata.
Sulla piazza, tra i banchi del bazar si trova un bell’hamman che ora è diventato un museo dove ammirare tra le belle sale affrescate e decorate anche dei manichini che illustrano come si svolgeva la vita in un hamman; una curiosità sono le finestre di alabastro traslucido che fanno filtrare la luce del sole in modo diverso nella varie ore del giorno, fungendo da orologio per i bagnanti. Un altro bell’edificio, sulla volta della cui entrata sono simpatici disegni unpo’ naif di animali selvatici e uomini, è stato trasformato in un workshop dei mestieri tradizionali, e si può assistere alla tessitura, all’incisione dei metalli e alle altre arti dei più famosi manufatti iraniani. Qui sono anche tentata dall’acquisto di un tappeto, ma per i non esperti è davvero difficile riconoscere la qualità e le differenze, e si rischia di affidarsi solo al gusto soggettivo e di non fare un buon affare, tanto più che i prezzi sono in balia di un marcanteggiamento interminabile e non si riesce a comprendere dove stia l’equità; così ci rinuncio, ma devo riconoscere che vi sono dei pezzi davvero molto belli; forse un buon compromesso non per fare l’affare ma per pagare il giusto con una garanzia di autenticità è fare acquisti presso il negozio di stato di Teheran, dove i prezzi non sono trattabili e tutti i tappeti sono forniti di expertise.
Nel bazar che è molto vario e ad uso più locale che turistico, o quanto meno ad uso di turisti iraniani, ripiego su acquisti più modesti, in primo luogo la “polvere delle 40 spezie”, un mix di nocciole, mandorle, pistacchi, cannella, cardamomo ed altri innumerevoli ingredienti che può essere mangiata a mo’ di nutella col cucchiaino o sciolta come nesquick nel latte caldo; in tutti i due casi il sapore è eccellente. Non mi faccio poi mancare varie selezioni di pistacchi, perchè proprio da Kerman arrivano i migliori pistacchi dell’Iran. Infine mi butto sui dolcetti locali ripieni di datteri, una vera leccornia.
Vicino al bazar sorge la moschea Moshtari-ye Moshtaq Ali Shan, nata come mausoleo per un mistico Sufi molto noto come cantore e suonatore di sitar, lapidato dagli integralisti del suo tempo; il custode mi profuma con uno stick alle rose il velo e mi invita a toccare la tomba del saggio come auspicio di buona sorte, prima di chiedermi una piccola mancia.
Kerman è una città piuttosto grande, e muoversi da un lato all’altro può comportare anche un lungo tragitto, ma è inevitabile perchè vi sono numerosi luoghi di interesse anche al di fuori della città vecchia.
C’è un piccolissimo museo archeologico (volendo si può abbinare la visita al museo degli strumenti musicali e a quello paleontologico che sono nello stesso complesso) molto interessante, che raccoglie reperti della sola zona di Kerman, tra cui alcune coppe di pietra nera risalenti al 4000 a.C. mirabilmente scolpite con rilievi di antilopi e leoni, ritrovate in una zona desertica.
Secondo me non si può perdere una visita al poco visitato dai viaggiatori stranieri “Museo della Santa Difesa”, una sorta di sacrario dedicato alla sanguinosa guerra contro l’Iraq, con immagini e testimonianze molto dure che testimoniano sì l’eroismo dei combattenti ma anche l’infinita barbarie della guerra, combattuta con armamenti che sembrano usciti dalla prima guerra mondiale, nelle trincee scavate nel deserto, ma anche con bombardamenti chimici sulla popolazione inerme.
Ai margini della città si trova una vasta area resa verde dagli alberi piantati dagli abitanti 80 anni fa, con parchi e zone di ristoro, cimiteri diversi di tutte le confessioni religiose presenti in Iran, e una strana costruzione ottagonale conuna grande cupola chiamata Gonbab e Jaliye, che ospita oggi un museo delle lapidi, di cui ad oggi si ignora la funzione originaria, ma che a me sembra alquanto simile al Mausoleo di Teodorico a Ravenna, di cui peraltro è contemporanea, per cui potrebbe essere stata un qualche mausoleo.
MAHAN
Anche i dintorni di Kerman sono molto interessanti. 35km a sud est si trova il paesino di Mahan, dove si trovano due attrazioni molto belle. La prima è il santuario-mausoleo di Aramgah-e Shah Ne’matollah Vali, costuito in onore di un famosissimo dervisho Sufi, mistico, filosofo ma soprattutto grande poeta medievale; il mausoleo, immerso in un bel giardino arabo, è noto per le sue decorazioni, le sue porte con intarsi in avorio, le sue cupole blu cobalto, e per la raccolta sala da preghiera, putroppo un po’ rovinata da un’inondazione di due metri d’acqua (in piena regione desertica pare che a Kerman queste inondazioni siano frequenti!), i cui muri e soffitto sono dipinti con esercizio calligrafico in forma di spirale (che richiama la filosofia dei dervishi) con i versi tratti dalle poesie del Maestro Sufi.
Vicino a Mahan si trova una meraviglia della natura creata dall’uomo. Sfruttando un corso d’acqua proprio in mezzo al deserto fu costruito per volere di un principe nella seconda metà del 1800 lo scenografico giardino di Bagh-e Shahzde, con alberi di alto fusto piantati nei canali dell’acqua pura del fiume, e scenografiche cascatelle che delimitano terrazze fiorite; sullo sfondo un palazzetto qajaro che oggi ospita anche un ristorante. Il giardino, patrimonio UNESCO, è davvero rilassante e incantevole, per la sua posizione improbabile in mezzo al deserto e per la sua estrema cura.
IL DESERTO DEI KALUT
Eccomi giunta all’estrema tappa. Andando ancora verso est, attraversiamo le montagne e si scende sino ad un nuovo deserto, che si estende vastissimo sino al confine con l’Afghanistan. Da qui passano ancora diversi traffici di droga, affidati a vari stratagemmi tra cui l’inserimento nello stomaco dei cammelli che vengono poi lasciati andare nel deserto e recuperati all’arrivo di una via che conoscono a memoria, e ciò nonostante l’Iran punisca il traffico di stupefacienti con la pena di morte. Un bivio indica la direzione: “Kalut”, svoltiamo e sul percorso, che dura alcune ore, non incontriamo che una sola automobile, mentre il paesaggio roccioso lascia man mano spazio ad un terreno semidesertico con degli alberi simili a salici con i rami ricadenti al suolo che col tempo vengono interamente ricoperti dalle sabbie trasportate dal vento fino a diventare l’ossatura di piccole collinette. poi inizia il deserto di sabbia gialla, dapprima piatto, poi si apre lo spettacolo delle formazioni geologiche dei Kalut, uniche al mondo. Da lontano sembra di intravedere la sagoma di una metropoli con lo skyline dominato da alti palazzi, avvicinandosi ancora si ha l’impressione di castelli di sabbia, e solo arrivandovi nel mezzo si capisce di cosa si tratta. La macchina lascia la strada e si addentra sulla sabbia, arrivando sino a sopra un’alta duna. Da lì si prosegue la salita a piedi sino a conquistare una posizione panoramica. Ai miei piedi si estende un’area di 145km per 80km di sabbia piatta da cui spuntano improvvise lunghe linee verticali alte anche 10 piani di ciò che sembra roccia ma è sabbia compatta. Non si sa come si siano formati, qualche geologo azzarda l’ipotesi di un meteorite, altri parlano di semplice erosione dovuta al vento, ma non si capisce allora perchè solo in questo luogo al mondo. In questo paesaggio irreale di solitudine e magnificienza siamo al confine della civiltà e alla fine del nostro viaggio, breve ma intenso. Un aereo da Kerman mi riporta a Teheran e da lì in Italia e, ahimè, nello stesso giorno al lavoro.
10 cose da non perdere dell’Iran meno conosciuto :
1) Ammirare le case storiche di Kashan tra stucchi, corsi d’acqua e giardini
2) Trascorrere una notte in tenda nel deserto Dasht-e Kivir (senza la luna piena)
3)Avventurarsi nelel rovine del Castello di Meybod, fatto solo di fango, e in piedi da oltre 2000 anni
4) Scalare le impressionanti “torri del silenzio” zoroastriane dove venivano abbandonati agli avvoltoi i cadaveri
5) commuoversi nel tempio del fuoco di Yazd ove il fuoco brucia ininterrotto da oltre 3 millenni
6) Perdersi la sera nei vicoli e sui tetti della città vecchia di Yazd e ritrovare l’orientamento con la luce della Moschea del Venerdì
7) Visitare il villaggio troglodita di meymand, fuori dal tempo, e acquistarvi qualche erba medica
8) Fare acquisti di spezie nel bazar di Kerman
9) Riempirsi gli occhi della dolcezza dei giardini Bagh-e Shahzde in mezzo al deserto
10) Ammirare le formazioni geologiche del Kalut, uniche al mondo e forse opera di un meteorite
Grazie mille per questo tuo post; visitare l’IRAN mi piacerebbe da impazzire, è un paese affascinante ma che, mi spaventava tanto. LEggendoti mi accorgo dei pregiudizi che ho e che devo superare a tutti i costi. Grazie davvero